Che Dio ci salvi dalla retorica

C’era una volta la Retorica, con la R maiuscola. Un’arte creata dai “sofisti” greci: l’arte del parlare e dello scrivere in modo pulito, elegante ed efficace, con una finalità prevalentemente pragmatica, come tecnica del discorso teso a persuadere, in questo senso fu applicata e privilegiata nell’oratoria giudiziaria. Queste le origini e vi risparmio gli adattamenti e i cambiamenti nei secoli, per arrivare ai nostri giorni, a oggi, quando l’arte dello scrivere e del parlare (in politica, in tivù, in pubblico) si è rovesciata nel suo opposto meritandosi un significato negativo, spregiativo: il retoricume. Che è l’arte sfregiata nella sua deteriore ampollosità, là dove sui contenuti prevale la speciale tecnica della parola altisonante, vuota, artificiosa. È quando la cornice soffoca il quadro.

Eccoci al dunque, a oggi, al decimo giorno della strage parigina con lo spettacolo insopportabile di un’orgia nefasta di retori che hanno avvolto in un altro sudario di frasi fatte, luoghi comuni e slogan un evento tragico della nostra epoca, che avrebbe invece meritato un approccio esattamente capovolto, e con un minimo sforzo: dire la verità. Non averne paura. Non avere paura a pronunciare la parola guerra, vero Renzi? È infatti il vero, il vichiano verum ispusm factum - diciamocelo: quale realtà è più vera di una guerra dichiarataci contro assassinando innocenti? - che è stato espulso, da quei cattivi maestri, dai fatti, svuotandoli e, al tempo stesso, riadattandoli a seconda delle convenienze non soltanto politiche.

Il più grave dei reati di questi retori da strapazzo: il tradimento della verità. L’ipocrisia del respingimento, dell’omissione dei significati autentici, storici, politici di eventi come questa guerra. Intendiamoci, non tutti e non tutta la tivù, la politica, il discorso pubblico sono responsabili di una simile colpa, ci sono eccezioni, anche di buon numero, ma la vernice generale, il tono complessivo, la narrazione comune soffre di questa malattia soffocante e spaesante che colpisce soprattutto chi non è abituato a fare i conti con quanto accade intorno. E sono, siamo, in tanti.

Il retoricume non ha bandiere fisse, non appartiene a un solo campo del contendere. La retorica di destra è uguale e contraria a quella di sinistra, con la differenza che la prima è convinta di dover essere obbligatoriamente “cattiva” contro i “pericolosi” buoni della sinisitra i quali, ovviamente, fanno del “buonismo” la carta identitaria di valori etici di gran lunga superiori a quelli del nemico che vuole la “guerra” all’Islam, ed è di per sé islamofobo, dotato di una scorrettezza politica che può condurre al peggio. Va da sé che il nemico replica mettendoci un carico sopra e respingendo al mittente, spesso e volentieri spregiativamente, il cosiddetto male endemico della gauche buonista. Il bello è che entrambi i poli opposti hanno leader che sono assolutamente certi di essere i veri portatori di verità morali e di valori, manco ne fossero i detentori autorizzati. Il che, tra l’altro, comporta un passaggio successivo verso il peggio, verso il vuoto, ovverosia l’inadeguatezza e la quasi impossibilità a dare alla gente, al pubblico, risposte concrete, possibili, attuabili, misurate sulle realtà lontane e vicine. Esempio: liquidare le manifestazioni degli islamici cosiddetti moderati contro i criminali dell’Isis come una piccola, inutile, passeggiata o considerarla come fumo negli occhi può servire, al massimo, ad un titolo di prima pagina, peraltro legittimo, o ad un intervento acceso al telegiornale, legittimo, si capisce, ma non utile ad una soluzione possibile giacché nega la profonda, storica, ardua complessità del mondo islamico mettendo insieme, sbagliando, tendenze fortunatamente minoritarie con stragrandi maggioranze che definire moderate è pura comodità, anche questa retorica, facilona, riduttiva.

Così come accusare, da sinistra, la destra guerrafondaia ha lo stesso vizio di fondo, perché vorrebbe eliminare dalla scena, per convenienze partigiane, il vero protagonista della storia di oggi; la guerra. Che c’è già e che, tra l’altro, significa soprattutto prosciugare l’acqua, il petrolio, agli assassini di quel Califfato che prima sarà sconfitto nelle città occupate abusivamente e nei territori ai cui abitanti sventurati, ben che gli vada, applicano rigorosamente il pizzo mafioso, meglio sarà per tutti. Ma bisognerà andarci là, prima o poi. Noi.

Gli altri, Hollande e Putin, ci sono già, per fortuna nostra.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10