Stati generali carceri: il diritto all’affettività

(Seconda parte) Territorializzazione, permessi, colloqui, telefonate e corrispondenza, diritti dei minori. Di ‘come’ assicurarli e migliorarne l’effettività (in molti casi assente) si è occupato il tavolo dedicato all’esercizio dell’affettività del detenuto e coordinato da Rita Bernardini nel corso del semestre degli Stati generali sull’esecuzione penale voluto dal ministro Andrea Orlando. Non è necessario invocare il pessimismo della ragione per considerare alto il rischio che sotto le spinte populistiche la confusione tra garantismo ed impunità finisca per fiaccare e minare il tentativo di riconoscere nell’esercizio dell’affettività un diritto fondamentale.

A distanza di quarant’anni dalla riforma penitenziaria migliorare la fisionomia del carcere resta uno sforzo titanico in un Paese in cui opinione pubblica e politica sono tuttora ancorate a spinte giustizialiste e repressive, incoraggiate dagli episodi di cronaca amplificati dai media, e all’esigenza di individuare presidi simbolici di sicurezza collettiva. Un humus che “ingabbia” il carcere trasformandolo in un luogo altro rispetto al consesso civile destinato alla mera punizione e all’esercizio della vendetta. E rende ostico far attecchire nell’opinione pubblica la consapevolezza della necessità che chi è ristretto abbia diritto ad espiare la propria pena in condizioni umane favorevoli al proprio ripensamento e reinserimento sociale. Sarebbe opportuno pretendere l’impegno degli organi di informazione di parlare delle ricadute positive che un’esecuzione penale umana e “responsabilizzante” ha sul piano della sicurezza.

Come testimoniato da molti studi statistici e criminologici, la percentuale di recidiva cala con l’espiazione non carceraria della pena o una detenzione rispettosa della dignità e non “infantilizzante” e salta agli occhi la relazione virtuosa in Francia e Germania tra la scarsa indulgenza dell’informazione sulla cronaca nera, il ricorso a misure alternative o comunque rispettose della dignità umana e l’incidenza minima della recidiva mentre in Italia il 58 per cento delle notizie riguardano la criminalità, il carcere finisce per essere “duro” per tutti e vi è scarso ricorso a misure alternative. Sfidando apertamente questo clima culturale il moloch delle esigenze securitarie il tavolo sull’affettività ha elaborato proposte ed orientamenti senza mai discostarsi dal dettato costituzionale né dalla cornice giurisprudenziale europea e richiamando lo stesso ordinamento penitenziario che, ad esempio, sul principio di territorializzazione, prevede che la pena debba essere scontata più vicino possibile alla famiglia e che possa indicare il luogo di trasferimento. L’opposto di quanto avviene con gli attuali continui trasferimenti, ingiustificabili se non per far quadrare la mera contabilità di rapporto tra spazio e numero della popolazione carceraria.

Attualmente i detenuti che si trovano in istituti lontano dalle famiglie sono il 33 per cento. Spesso gli spostamenti per le famiglie comportano costi o sono impediti dalla presenza di disabili con ovvio sradicamento (anche linguistico) del detenuto dal proprio territorio, dal racconto della vita familiare, dal personale di sorveglianza oltre che da psicologi e assistenti sociali e volontari che ne seguono il percorso di ripensamento individuale e riprogettazione. Territorialità significa anche impedire la perdita di ruolo dei detenuti a danno soprattutto de i minori e delle donne che vengono amputate della loro centralità nella famiglia e favorire il reinserimento del detenuto. Dunque ove impossibile il rientro negli istituti di appartenenza, peraltro giustificati dalla deflazione, si propone il collegamento audio e video con tecnologia digitale e che i detenuti lontani 300 chilometri dalla famiglia siano assegnati un mese in un istituto della propria regione.

Sul capitolo permessi si propone, riagganciandosi a proposte già avanzate in giurisprudenza e ad alcuni ddl passati, di aggiungere ai permessi premio e per eventi familiari di particolari gravità il requisito di “particolare rilevanza” consentendo la presenza nei momenti importanti della vita dei figli e durante le festività, a tutela delle relazioni con i minori. Prevista anche la possibilità di aggiungere agli eventi familiari rilevanti quelli di “rilevanza trattamentale” per i condannati che ne beneficerebbero per il percorso rieducativo ma preclusi e per detenuti ostativi. Riconosciuto quello all’affettività come diritto fondamentale, si è pensato di introdurre una fattispecie nuova, il “permesso di affettività”, di durata e cadenza da definire per garantire le relazioni affettive anche intime e sessuali.

L’intenzione è di comprendere anche alcuni condannati all’ergastolo dopo l’espiazione di almeno cinque anni e a quelli sotto articolo 4 ter e quater dell’Op, solo dopo l’espiazione di un terzo della pena e sotto il vincolo della valutazione della condotta. L’orientamento del tavolo anche su questo punto qualificante è ancorato ad alcuni cardini della dottrina costituzionale (sentenza della Consulta del 2012 e del 1999) e a raccomandazioni del parlamento europeo (2006) approvate dal Cdm del consiglio d’Europa. Intimità fuori dal carcere ma anche dentro, attraverso l’inserimento nell’Op del nuovo istituto giuridico della “visita” (che si aggiungerebbe a quelli visivi, alla presenza di altri detenuti e con la sorveglianza del personale di sicurezza), da svolgere in apposite unità abitative per consentire l’intimità senza controllo visivo o auditivo (un minimo di quattro ore a visita ogni due mesi). L’ostacolo principale non sarà tanto, come confermato dai questionari inviati agli istituti carcerari, la carenza di disponibilità di spazi interni ma quanto questa misura, sperimentata in altri paesi, si trasformerà in un macigno lanciato nelle ansiogene acque del populismo penale.

Infine, sul fronte corrispondenza viene richiesto l’ampliamento del servizio di posta elettronica già in uso in alcune carceri e l’equiparazione del collegamento Skype alle chiamate telefoniche, oltre a venti minuti del tempo a telefonata con possibilità di frazionare le chiamate nella settimana con schede prepagate. Infine la richiesta di eliminare il diverso numero di colloqui e telefonate a detenuti, imputati e condannati ex 4 bis. Una discriminazione in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione, con l’impianto dell’Op e con le regole penitenziarie europee fissate nel 2006 estranea al mantenimento dell’ordine e della sicurezza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00