Le avete volute le Primarie?

Milano e le Primarie più belle del mondo, così le chiamano loro. Loro, quelli che del Partito Democratico hanno cambiato le liturgie interne consacrate dai santoni storici a cominciare dal primo scalino, dalla mitica sezione su su fino ai vertici.

Le primarie milanesi sono finite ed è normale un bilancio politico, oltre che numerico. Un bilancio con più ombre che luci. Questa dei numeri, poi, è un querelle che si trascinerà ancora un po’, giacché il pur favorito Beppe Sala ha visto una consistente fetta in meno dei votanti rispetto al Giuliano Pisapia di cinque anni fa. In compenso, la candidata di Pisapia, Francesca Balzani, è stata sconfitta insieme a Pierfrancesco Majorino: entrambi, basta fare un due più due, e si vedrà che la rinuncia di quest’ultimo in nome dell’altra, avrebbe battuto Sala, il candidato di Renzi, l’uomo dal passato di destra, il manager dal marchio morattiano.

Ecco, questa della marchiatura di Sala da parte di una sinistra che si autogratifica coi miti gramsciani della diversità e della “superiorità antropologica” (sono parole dello stesso Gramsci), fa venire in mente i marchi che l’Unione europea impone ai prodotti israeliani, il che adombra una sorta di razzismo politico peraltro confermato, l’altro giorno, dalle polemiche sui cinesi milanesi, anzi, sui milanesi cinesi (una novantina circa) che hanno votato per Sala ma poco o punto preparati in “italiano”, e il loro diffuso analfabetismo sia, almeno, di monito per il nuovo sindaco meneghino per occuparsi costruttivamente e costituzionalmente dei cittadini votanti che non sanno la lingua di Dante e di Manzoni.

Da queste primarie, le più belle del mondo ovviamente, provengono altre lezioni, altri moniti, al di là delle divisioni interne, immancabilmente perdenti, come s’è visto. Divisioni che producono effetti collaterali di cui, il più visibile, è la sancita fine del ciclo di Pisapia da intendersi come una scelta individuale successivamente confermata dalla sconfitta della pisapiana Balzani, peraltro tirata fuori dal cilindro con qualche ritardo. Ma anche su Sala sono caduti frammenti della meteora pisapiana. Basta, anche qui, osservare, come s’è detto, i dati degli elettori mancanti rispetto a cinque anni fa, e la somma fra i voti dei due sconfitti nettamente superiore a quelli di Sala, per capire che la sua candidatura è stata drenata da fasce del Pd ambrosiano per nulla convinte del suo conclamato sinistrismo, e che una volta avremmo definito guareschianamente “trinariciute”. Su Sala, dall’indubbiamente solido curriculum manageriale reduce dal successo mondiale dell’Expo, non c’è stato alcun entusiasmo di partito. Al contrario, si è assistito a quotidiani rimbalzi di critiche sia contro il destrismo d’origine, sia contro gli endorsement ripetuti di Renzi, sia, soprattutto, sui supposti buchi neri della Expo - c’era qualcuno che attendeva speranzoso qualche avviso di garanzia - con un gioco al massacro che ha visto molto più attiva e pungente una buona parte del Pd che il centrodestra.

Da tutto ciò, l’impressione che per Sala non sarà un cammino in discesa, anche se, vincendo le primarie più belle del mondo, avrà un indubbio vantaggio di partenza rispetto al candidato del centrodestra. Centrodestra che è rimasto a guardare, forse in sonno, certamente in preda a dissensi interni fra Lega e Forza Italia, poiché la leadership salviniana non ha gli occhi puntati su Palazzo Marino ma su Palazzo Chigi, si parva licet. In fondo, a Matteo Salvini Milano interessa fino ad un certo punto (“al massimo potrei fare l’assessore alla Sicurezza!”, appunto),conscio com’è della situazione di stallo del berlusconismo il cui ritardo nella scelta del candidato finale peserà da qui al fatale giugno. C’è da dire, tuttavia, che in queste ultime ore si è affacciata la candidatura di Stefano Parisi, forse per gli automatismi psicopolitici suggeriti dal profilo di Sala: entrambi city manager, entrambi al servizio di due sindaci di centrodestra, Albertini e Moratti, entrambi supertecnici, entrambi dello stesso ceppo liberale con spruzzate socialiste, entrambi graditi al Cavaliere, entrambi con le stesse idee. Singolare, vero? Ma sta rifacendo capolino, quasi sottovoce, la candidatura di Maurizio Lupi avanzata da Ignazio La Russa, saggiamente convinto che le divisioni interne siano la causa prima delle sconfitte degli schieramenti. Servirà o seguirà il consueto fuoco amico?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:57