La lezione di Craxi e le bugie di “1992”

mercoledì 10 febbraio 2016


Bettino Craxi, negli ultimi anni della sua vita, ripeteva spesso che senza ricostruire la verità, “mentendo per la gola come stanno facendo”, non si sarebbe mai venuti a capo della crisi italiana.

Non si sarebbe mai compresa, attraverso un racconto pieno di ipocrisie e di menzogne, la storia italiana e si sarebbero solo create conflittualità isteriche e volgari, senza nessun futuro costruttivo per il Paese. Forse la maggioranza degli italiani, che ormai diserta apertamente, in modo rassegnato, le urne, ha compreso, quasi inconsapevolmente, che l’ultima testimonianza di Craxi, dall’esilio di Hammamet, era vera, basata su fatti reali, su analisi storiche e politiche documentate. E nonostante che qualcuno non voglia ricredersi sulla figura propagandata dai media su Craxi, deve ammettere la profonda delusione che sta vivendo.

Troppo lucido e troppo bravo nella conoscenza dei costumi storici del Paese, Craxi si sfogava con battute al vetriolo: “La Seconda Repubblica è come l’araba fenice, tutti sanno dove è ma nessun lo dice”; oppure si dilungava sui documenti che uscivano dalle stanze del vecchio Kgb e che dimostravano i collegamenti che erano sempre esistiti tra il Pci e l’impero sovietico, facendo dei comunisti italiani non un partito di sinistra, ma un “partito che sta ad Est”. Ancora, Craxi guardava alla fragilità dell’Italia di fronte alla perdita geostrategica, inevitabile nonostante il fatto positivo, successiva alla caduta del Muro di Berlino e alla frenesia liberista delle nuove e cosiddette classi dirigenti. Frenesia neoliberista che non assomigliava per nulla all’economia sociale di mercato che aveva caratterizzato il dopoguerra dell’Europa Occidentale e neppure all’alternativa di un liberalsocialismo che andava graduato secondo le esigenze nazionali italiane.

Ma ancora più preoccupato Craxi si mostrava verso lo scatenamento anarchico dei poteri, sempre meno forti e sempre più anacronistici rispetto a una prospettiva nazionale, che si manifestava, da di fuori e dal di dentro dell’Italia, con un attacco al sistema dei partiti della democrazia italiana voluto dalla grande finanza internazionale, dal protagonismo di una magistratura in parte politicizzata e in parte autoreferenziale, dalla vendetta di chi aveva visto crollare il “sogno folle” del “suo” comunismo bocciato dalla storia.

Non ci siamo dilungati a caso in questa lunga premessa. Ma volevamo solo collegare e contrapporre questa complessità e questa sofferenza di Bettino Craxi nell’esilio tunisino, all’ipocrisia e alla superficialità interessata, che ha fatto “La7 “ dell’“abile furbone” Enrico Mentana, nel riproporre in “chiaro” il “romanzo immaginifico” di “1992”, una serie di puntate televisive liberamente sceneggiate dove viene riproposta la “svolta” storica del Paese. Un’operazione politico-mediatica di basso livello, sia per la qualità dello sceneggiato a puntate, sia per il racconto che vuole essere fiction, ma con pretese storiche. Il tutto confezionato con un semplicismo disarmante, dove si contrappongono le tesi e i teoremi di un pool di magistrati alla realtà di un cinquantennio di storia italiana, fatta da partiti democratici che hanno favorito il miracolo economico italiano e hanno difeso il Paese dalla destabilizzazione operata dall’impero sovietico all’esterno e all’interno da una maggioranza consistente (ma non da tutto il partito in verità) di un Pci ottuso, soprattutto negli ultimi vertici del perdente “moralista” Enrico Berlinguer. Nella visione semplicistica e truffaldina di “1992”, in Italia ci sarebbero stati cinque partiti democratici che taglieggiavano i bravi industriali, compresa quella “borghesia stracciona” che ogni tanto si doveva svegliare (anche con sostanziosi aiuti statali) sul piano imprenditoriale e politico, e dall’altro un’Italia legale, morale e idealistica che voleva solo lavorare con grande onestà nel nome del libero mercato e della “mano invisibile”.

La “giaculatoria” che emerge dallo sceneggiato merita un “amen”. C’è quasi da morir dal ridere, se non si ricordasse questa tragedia italiana. Non sono bastate le precisazioni fatte all’epoca da Craxi sul sistema dei partiti in quel determinato momento storico del dopoguerra; non sono bastati gli errori giudiziari addirittura macroscopici fatti nel 1992 e negli anni seguenti; non è bastato l’abuso della carcerazione preventiva. E di seguito tutta una serie di sbandamenti politici e di scelte di carattere economico (la svendita di un patrimonio nazionale con privatizzazioni che hanno fatto danni incalcolabili), il via libera a una finanziarizzazione selvaggia, con il beneplacito del postcomunismo travestitosi da iperliberista. L’inizio del declino italiano.

La storia attraverso la televisione, in Italia, deve diventare una sorta di tele- fotoromanzo dedito soprattutto alla contraffazione e alla smemoratezza. Ma non è stato confezionato a “caso”, come dicevamo, questo osceno “1992”. L’attuale confusione del sistema italiano, le acrobazie dei media, la profonda crisi economico- finanziaria (si marcia verso il nono anno di seguito nonostante le maxiballe propinate a mani basse), l’astensionismo dilagante e il leaderismo provinciale che si sta affermando, rischiano di creare un cortocircuito che non è “populismo”, ma rifiuto di un sistema di menzogne che prima viene chiamato “populismo”, neanche fossimo ai tempi del Komintern, e poi può diventare implosione sociale.

A questo punto c’è qualcuno che pensa di mettere le “mani avanti”, magari in caso di collasso di sistema. C’è anche chi addebita anche il debito pubblico a quel sistema di partiti. Ma a quel tempo, almeno i derivati per truccare i bilanci per entrare nell’Euro non li facevano. E sono passati tanti di quegli anni che qualsiasi economia vitale, senza privatizzazioni fatte magari con l’interesse di banche d’affari straniere, si sarebbe ripresa.

Il fatto è che guardando “1992” ci è venuto in mente quello che Craxi diceva: “Ricordatevi almeno di difendere la nostra storia”. Lo diceva con sofferenza, perché in Italia è difficile misurarsi sulla storia. Se si pensa che “la svolta di Salerno” nel Pci, imposta dall’Urss, è stata definita dallo storico Paolo Mieli in televisione e da altri come “suggerimenti di Stalin a Togliatti”; se si pensa che per alcuni la Resistenza è stata tradita, nonostante i “casi Pizzoni”, i “Patti di Roma del novembre 1944”, la doppiezza togliattiana e chi pensava che si dovessero “regolare i conti non solo con nazisti e fascisti, ma anche con la destra della Resistenza e gli Alleati; se si pensa che il Pci aveva un “bilancio parallelo”, con “fondi neri”, che continuano a essere oggetto di nuovi documenti che escono dagli archivi sovietici, come stupirsi per questa preoccupazione di Craxi? In fondo, a ben guardare, “1992” è solo uno dei tanti episodi di una disinformazione sistematica e di un’intensiva cultura dell’ignoranza.


di Gianluigi Da Rold