Beppe Sala e la democrazia ferita

mercoledì 10 febbraio 2016


Sala come Pirro. Vince ma perde. Ed anche in maniera inaspettata e rovinosa. Chi lo ha sostenuto dovrebbe preoccuparsi. Non perché una vittoria così negativa alle primarie milanesi non costituisce un buon viatico per la sua eventuale elezione a sindaco di Milano. Ma perché le indicazioni contenute nella vittoria-sconfitta sono numerose e tutte destinate a produrre effetti inquietanti nel tempo.

La prima indicazione riguarda gli sponsor ed i sostenitori dell’ormai ex commissario dell’Expò. Sala è stata voluto fortemente dal Presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico. Che non ha preso in considerazione altre candidature al di fuori di quella dell’ex collaboratore di Letizia Moratti. Convinto che il successo mediatico dell’Expò dovesse consentire a chi ne aveva assunto la responsabilità operativa nella fase finale della operazione (e grazie al piccone distruttore della magistratura) di puntare senza problema a Palazzo Marino e di dare forma plastica a quel modello di regime renziano che qualcuno definisce “Partito della Nazione” ma che è solo la forma più esplicita del partito autocratico al potere.

Il voto ottenuto da Sala dimostra che il regime renziano è ancora debole, precario ed incapace di radicarsi nel Paese a dispetto di condizioni più che favorevoli. Di conseguenza, il primo a preoccuparsi dovrebbe essere proprio il Premier, che deve trarre dalle primarie milanesi l’indicazione di dover fare ancora molta strada prima di dare stabilità al proprio potere. Ma a temere non deve essere solo Renzi. Il segnale negativo vale anche per i salotti buoni della finanza, dell’economia e delle grandi banche del Nord, cioè i padroni dei media che senza ritegno e grande impegno hanno sostenuto a spada tratta Sala nella certezza di potergli spianare la strada con la loro potenza di fuoco economico ed informativo. Grazie al mezzo flop del candidato renziano, il “Corriere della Sera” e “la Repubblica” oggi sanno che a Milano contano poco e niente. Ed i padroni di questi giornali, così come quelli di tutti i grandi organi d’informazione (Rai compresa) che hanno puntato apertamente sull’uomo di Renzi, debbono prendere atto che le loro armi mediatiche sono spuntate di fronte ad una opinione pubblica molto più smaliziata del passato e più decisa a non lasciarsi imbonire dalla casta dei privilegiati.

A preoccuparsi, infine, dovrebbero essere anche quelli che hanno a cuore la sorte della democrazia italiana. Le file di cinesi ai gazebo delle primarie del Pd non sono un segno di positiva integrazione, come hanno scritto con smaccata disonestà intellettuale i giornaloni dei padroni del vapore, ma un esempio di indegno voto di scambio. Che squalifica definitivamente il meccanismo delle primarie e rende evidente come il regime auspicato dal Premier si regga su un meccanismo di illegalità ammantata da un falso plebiscitarismo. Se questa è la democrazia nell’Era renziana non ci resta che piangere!


di Arturo Diaconale