Il premier e l’Unione sul Titanic: e noi?

Come certi narratori che, sul limitare di un evento, si dividono in due e, come i cosiddetti departed, riferiscono le sensazioni che devono provare i lettori e, nel contempo, riflettono con se stessi a mo’ di osservatori dall’esterno. Una tecnica che Francis Scott Fitzgerald definiva: stare dentro e stare fuori. Così Matteo Renzi mostra, a volte - anche quando a ragione batte i pugni sul tavolo - di comportarsi a proposito della Unione europea definita “come l’orchestra che suona(va) a bordo del Titanic”. Dentro e fuori, come dire dall’interno e dall’esterno e, in questo caso nautico, da fare gli scongiuri, “sopra e sotto”, dove sotto starebbe per in fondo al mare.

La metafora del Titanic, peraltro abusata, starebbe bene in bocca ad uno scrittore, ad un giornalista, ad un lettore, magari ad un elettore, ad un italiano qualsiasi. Ma anche in tal caso il ricorso al fatidico cornetto rosso ci starebbe. Il punto vero è che Renzi non è un romanziere, non è neppure un giornalista che può, anzi deve, concedersi pause di riflessione durante il racconto. Non è neppure uno dei lettori, semmai un elettore, il primo della lista. Resta il politico che guida un Paese, il premier che conduce la navicella italica fra i marosi, spumeggianti come certe sue battute, ed è contestualmente uno dei comandanti nella cabina del transatlantico targato Unione europea. Su cui, a suo dire, l’orchestrina suona l’ineluttabile musichetta del naufragio dopo l’impatto con il fatale iceberg.

Il ricorso a questa figura letteraria, applicata per l’appunto alla catastrofe più impressionante ma soprattutto simbolica dell’affondamento della nave ritenuta inaffondabile, è un artificio narrativo. Ma, detto dal premier-pilota, somiglia ad una licenza poetica per occultare non tanto o non soltanto i minacciosi iceberg sul mare tempestoso dell’Ue, quanto, soprattutto, per mettere le mani avanti, per chiamarsi fuori dai pericoli presenti e futuri.

Peraltro, e ritornando al vero “Titanic”, la ricostruzione dello spaventoso evento ha attribuito non poche responsabilità allo stesso comandante. Dunque, ritornando all’Ue, non si vede come lo stesso Renzi non possa e non debba sentirsi corresponsabile della conduzione del transatlantico europeo, almeno da circa due anni. Parliamo di responsabilità e non di colpe, ma siamo lì. L’Ue non è una sigla, una formula, una targa, e anche se qualcuno evoca la metternichiana “espressione geografica”, l’Unione europea è un Continente alla cui guida ci sono, da sempre, i capi di governo, prima sei o sette, poi dieci o dodici e adesso quasi una trentina. Troppi, si dice, magari invocando l’Europa a due velocità, cioè il Nord e il Sud. Ma sempre e comunque ai capi di governo tocca la prima e ultima parola in fatto di guida, di scelte di fondo, di senso di marcia, di sensibilità progettuale non meno che di previsioni future ed eventuali rimedi, del nostro caro, vecchio e “inaffondabile” Continente. Il quale è certamente dotato di un importante Parlamento, è indubbiamente aiutato da commissari capaci, è sostanziato da burocrati e funzionari comunque preparati, ma al vertice, nella cabina di regia e di comando, sono i leader delle nazioni che devono (o dovrebbero) dare la linea. E che, specialmente in questi frangenti, avrebbero dovuto innanzitutto prevedere e prevenire il più grave degli iceberg, ovvero le colossali migrazioni di profughi in fuga da guerre in Medio Oriente. Parliamo di guerre (che incidono eccome sull’economia) che la vecchia Europa ha conosciuto secoli fa, insieme alle migrazioni. Proprio per questo doveva adottare qualche seria prevenzione. Poteva e doveva rendersi conto degli effetti delle guerre e delle primavere fasulle: barconi di profughi, masse di clandestini, e magari degli infiltrati terroristi.

Che hanno fatto, che hanno detto, che hanno predisposto i capi di governo? Adesso si battono i pugni sul tavolo, e va bene. Ma prima, e prima di Renzi, e di Letta? Non per desideri di crucifige, che non ci toccano, ma per un senso di misura e di riconduzione dei problemi alla loro vera dimensione, un leader consapevole dei propri poteri deve esercitarli soprattutto là dove il superpotere europeo si esprime e poi si attua. Non ci si può chiamare fuori quando la nave è a rischio, perché non si sono fatti bene i conti con le carte nautiche che indicano pericoli di collisione con iceberg vaganti. L’orchestrina malinconica diventa allora come la campana: essa suona anche per te.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00