A Milano Parisi   è la new entry

Dunque, dopo Beppe Sala e Corrado Passera, c’è Stefano Parisi: avremo candidati a sindaco di Milano non due ma tre manager. E che manager! Dunque con il ritiro della Politica, con la sua definitiva marcia indietro, la resa o quantomeno l’archiviazione della Politica sembra quasi completa. Dunque, e infine, il cerchio magico disegnato dal fato pare come un anticipo di un disegno destinato ad allargarsi, giacché quello che succede a Milano succederà anche in Italia. Lo diciamo al condizionale anche perché la nuova candidatura del centrodestra, quella di Stefano Parisi - sussurrato a mezza bocca una settimana fa - è le vera e credibile new entry di queste elezioni.

Va comunque osservato che ai pregi di questa novità, come vedremo, non si devono sottovalutarne i limiti. Che non sono impliciti al nome e alle sue qualità oggettive, ma espliciti, esterni, nella misura in cui Parisi è praticamente sconosciuto al grande pubblico. Il che conta, eccome. Ci penserà, dicono, il marketing prossimo venturo nella competition fra i tre top manager nei quartieri del Gallaratese e Forlanini, di Quarto Oggiaro piuttosto che dentro la privilegiata (?!) cerchia dei Navigli. Ma soprattutto in televisione, visto che sarà sempre lei a fare la differenza. E per Parisi, si giura qui a Milano, le tre reti del Cavaliere faranno il surplus nella differenza in un challenge decisivo nel quale, comunque, Giuseppe Sala parte indubbiamente favorito grazie al ricordo dell’Expo, checché se ne pensi specialmente in una sinistra malmostosa e arcigna nel suo anticapitalismo retrò sempre vivificato dall’antiberlusconismo mai domo.

L’ex commissario dell’Expo sa di avere a che fare con un Partito Democratico inquieto e non del tutto amico, per non parlare di ciò che resta degli arancioni e di Sel. Ed è questo un punto dolente per Sala, una sorta di acuta fitta al fianco sinistro che lo staff del vincitore delle primarie Pd ha deciso di curare con forti impiastri di antidolorifici gauchisti destinati inevitabilmente a spostare a sinistra l’asse, rischiando così di scoprire il fianco destro nel quale Sala aveva ritenuto di fare un po’ di vendemmia per l’assenza di un candidato su quel versante. Ora che il vuoto è stato riempito, sia pure da un Parisi dall’identikit professionale sovrapponibile, la corsa sarà più in salita per Sala. La candidatura di Parisi sembra sollevare di qualche buon metro il livello politico dentro la confusa eterogeneità di un centrodestra meneghino dove Matteo Salvini ha sgomitato e sgomita forte di un consenso non del tutto virtuale, anche perché è un leader che si muove a suon di slogan che piacciono alla gente cui piace la sommarietà condannante di uno stato delle cose non esaltante. Se Salvini è d’accordo (e non poteva non esserlo) su questa new entry, significa anche che è cessata la sua sostanziale indifferenza fino ad ora mostrata per le sorti di Milano, e può ora attribuirle un contributo significativo: la Lega è l’unico partito a destra, forte di un’organizzazione capillare movimentatrice.

Che dire di Forza Italia? Nella città che per decenni ha recato la sua impronta “sindacale” - da Albertini alla Moratti (il primo si giovò della professionalità di Parisi in Comune, e la seconda chiamò nello stesso posto Sala indicandolo poi all’Expo, quando di si dice il destino...) - si tratta di recuperare un minimo, non dico un massimo, di vivacità se non di velocità, considerato il torpore, la stasi, il sonno, a volte profondo, che lo aveva colto dopo la débâcle morattiana e formigoniana. Del resto, in un partito che non lo è mai stato, trovando la sua giustificazione legittimante (parole del Cavaliere) soltanto dal carisma del suo creatore, la scelta caduta su Parisi sembra quasi un prodotto della sfera magica di un Silvio Berlusconi prima maniera, fervido di intuizioni e di creazioni. Di quando il centrodestra non soltanto governava il Paese, ma era saldamente insediato nella cabina di comando della Regione Lombardia e del Comune di Milano, con annessi e connessi. Puntare dunque su Parisi pare dunque una via obbligata per il centrodestra. Purché ci credano tutti al suo interno, e per credere intendiamo anche e soprattutto il “combattere” (lasciamo perdere l’obbedire...) in virtù dell’acquisizione di un punto di riferimento elettorale significativo. Il suo nome, infatti, innanzitutto perché credibile, è in grado di mettere insieme i cocci di un’alleanza in cui il recupero dello stesso Ncd, incarnato da Lupi e Formigoni, costituisce un importante passo in avanti rispetto alla sanguinosamente futile guerra civile fino ad ora condotta con ancora l’eco dell’”al Lupi! al Lupi!” urlato da Salvini, e non solo.

Il centrodestra si rianima, affermano in giro. Ma la “reconquista” di Palazzo Marino non sarà una passeggiata. La strada è lunga. E non in discesa. Parisi lo sa?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03