Il fanalino di coda   dell’Europa siamo noi

Com’è noto, in contrasto con le ottimistiche stime del Governo dei miracoli, il Fondo Monetario Internazionale ha previsto per l’Italia una crescita decisamente ridotta anche per il biennio 2016/2017. Ciò ci confermerebbe nel ruolo oramai storico di fanalino di coda dell’Europa, malgrado i roboanti annunci di un Premier giocatore d’azzardo che continua a puntare le sue fiches su una sorta di ottimismo della volontà che i numeri sembrano smentire piuttosto categoricamente.

Di fatto, dopo aver perso negli ultimi anni una quota assai rilevante di Prodotto interno lordo, lo striminzito più uno per cento che l’organizzazione diretta da Christine Lagarde ci attribuisce per l’anno in corso dimostra che non c’è Quantitative easing che tenga per un sistema economico ingessato quale è quello italiano. A mio avviso, neppure gettando moneta sonante dagli elicotteri si riuscirebbe a scuotere il Paese reale dal torpore produttivo causato da decenni di strisciante collettivismo.

In altri termini, utilizzando una metafora assai conosciuta in campo economico, se il cavallo non beve a nulla può servire sommergerlo d’acqua. Tutto questo, tradotto sul piano reale, significa che soprattutto gli investimenti produttivi, motore primo dello sviluppo, non possono unicamente basarsi sul fattore pur importante dell’accesso al credito. Se si opera all’interno di un vero e proprio inferno fiscale e burocratico come quello italiano, il denaro a buon mercato non sposta di molto la problematica di fondo. Se, in altri termini, non si riduce in modo ragionevole il perimetro dello Stato assistenziale e burocratico, alleggerendo l’enorme fardello che grava su chiunque voglia intraprendere un’attività produttiva di mercato, qualunque politica monetaria di carattere espansivo è destinata all’insuccesso. Occorrerebbe invece, a fianco di tassi d’interesse favorevoli, sostenere la ripresa economica con una progressiva diminuzione dei costi che la nostra feroce mano pubblica impone a chiunque operi sul mercato medesimo. Questo significa, in soldoni, meno spesa pubblica e meno tasse, ovvero l’unico strumento che la politica italiana avrebbe per rendere fertile il terreno minato su cui poggia la nostra dissestata economia.

Ovviamente per i disperati cacciatori di voti che occupano la stanza dei bottoni la linea suddetta andava adottata fin da subito, consentendo al Paese di sperimentare i benefici effetti di una politica inizialmente piuttosto impopolare. Avendo però scelto di proseguire con aumentato impegno sulla strada di keynesismo farlocco che aumenta le spese, le tasse e i debiti, oramai è tardi per i rottamatori al comando cambiare rotta, sempreché se ne avesse l’intenzione. Per questo motivo da qui alla fine della legislatura non possiamo che aspettarci una ridda di dati economici assolutamente deludenti, seppur ammantati dalla oramai ben nota scoppiettante propaganda renziana, tutta chiacchiere e distintivo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58