Davigo, l’anomalia   di un normale italiano

Se il Corriere della Sera dedica al tema della Giustizia ben quattro spazi in prima pagina - un fondo, una vignetta, una notizia sulle reazioni del Governo e una sulle improvvide esternazioni di un sostituto Procuratore della Repubblica di Imperia - vuol dire che la situazione è grave. Che sia anche seria, è tutto da dimostrare. Forse, non è affatto seria. Non lo è se Bianconi - autore del “fondo” della scorsa settimana - si limita a dire che, alla fine, la polvere tornerà a depositarsi e tutto resterà come prima. Neppure è seria se il commento sulle esternazioni di una giovane della Procura di Imperia è affidata ad un critico e non ad un giurista, magari esperto di deontologia giudiziaria. Sorgono dei dubbi che sia seria quando si legge che il Presidente del Consiglio dice: “I giudici parlino con le sentenze”. Sai che novità.

Scappa da ridere - e così si comprende che la situazione seria non è - quando ci si sofferma sulla vignetta: processo al giustizialismo; testimone a carico, Verdini. Dalla metafora sulla polvere alla dissacrazione il passo non è breve. Noi, però, lo abbiamo fatto da tempo. Su questo, piaccia o no, ha ragione Piercamillo Davigo. Soltanto su questo, ma almeno su questo ha ragione: tutto è destinato ad andare “in vacca”.

Per quale motivo la Giustizia non dovrebbe adeguarsi all’aurea regola di noi italiani, campioni del riformismo e fenomeni della conservazione, capaci di fare un codice dopo quarant’anni di Costituzione e di distruggerlo con due - due, non tremila - sentenze dell’Organo che scrutina la costituzionalità delle leggi? Noi che vogliamo leggere le intercettazioni di tutti e ci offendiamo se qualcuno getta lo sguardo sul cruscotto della nostra auto, urlando per la privacy violata?

Suvvia, siamo seri e prendiamo atto che Davigo, criticato da tutti, non ha detto nulla di più di quanto non pensi la maggior parte dei nostri connazionali. I politici rubano, dice lui? I comunisti mangiano i bambini, rispondo io. Eletto presidente della più potente associazione italiana, ha subito iniziato a fare politica, adeguandosi ai canoni del nostro Paese: le ha sparate grosse, per farsi sentire.

Ora, se volete criticatelo, mettetelo in croce, ma prendete atto che non ha fatto nulla di straordinario. Se lo avesse fatto, non prolifererebbero le vignette umoristiche e non si spenderebbero fiumi di inchiostro per dire banalità. Ho letto che noi abbiamo definito le sue parole “demagogiche e datate” (così dice il Corriere). Un significativo passo avanti nella comunicazione. Da sempre chiunque accetti di fare politica si espone alla critica politica, senza riguardo per la funzione. Oggi, a quell’intervista che tanto scalpore ha fatto bisogna rispondere: tranquilli, siamo tutti italiani. Anche lui.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03