Appello al ritorno dei garantisti

Ciò che colpisce della levata di scudi dei magistrati di ogni genere e grado non è la compattezza con cui chiedono che la legislazione emergenziale antimafia venga estesa a tutti i reati riguardanti la vita pubblica per combattere più efficacemente i fenomeni di corruzione. E neppure l’insistenza con cui l’intera categoria, in linea subordinata, insiste nella richiesta di allungare i tempi della prescrizione per consentire di perseguire senza limiti temporali i reati che vengono commessi nelle sfere della politica e della Pubblica amministrazione. A stupire ed a preoccupare è la totale assenza di una qualche voce dissonante da un coro così massiccio ed assordante. Nessuno si azzarda a denunciare il rischio che l’estensione ad ogni aspetto della vita pubblica della legislazione antimafia figlia della legislazione antiterrorismo possa provocare una deriva autoritaria nel Paese. Nessuno aggiunge che l’allungamento dei tempi di prescrizione comporta il pericolo di processi senza fine destinati non a colpire i responsabili della corruzione, ma a far crescere la sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti di una giustizia incapace di dare certezze. Nessuno, infine, tenta di spiegare che la corruzione non è affatto connaturata con la storia dello Stato unitario come sostiene il Procuratore Scarpinato, ma è la figlia di uno Stato che più aumenta le sue strutture burocratiche più diventa matrice di ogni tipo di illegalità e di malaffare.

Certo, non mancano i singoli garantisti che combattono battaglie personali. Ma rappresentano delle eccezioni individuali che non hanno riscontro e rappresentanza sul terreno politico e parlamentare. In passato c’erano almeno i radicali che si battevano contro il giustizialismo corporativo dei magistrati e la passività di una classe politica costretta dalle sue responsabilità ad essere prona ai procuratori ed ai giudici. Ma adesso anche loro sembrano aver ammainato la bandiera del garantismo in attesa di capire quale potrà essere il loro spazio politico senza la carica vitale di Marco Pannella.

Questo vuoto politico va necessariamente riempito. Perché la richiesta che viene dalla parte più raziocinante della società italiana non è per un aumento incontrollato della repressione ma per una giustizia giusta al servizio del cittadino. E, soprattutto, non è per la moltiplicazione all’infinito di norme e pene più severe ma per una eliminazione progressiva delle cause che provocano l’illegalità, la corruzione e la criminalità organizzata. Compito che non spetta alla magistratura, ma alla società politica e civile. Serve, allora, che chi crede nello stato di diritto e nelle garanzie dei cittadini esca dal proprio torpore ed in nome dei valori liberali e civici ritrovi al più presto una forma ed un peso politico adeguati. La via giudiziaria alla pubblica virtù è sempre lastricata non solo di ingiustizie ma anche di fallimenti!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:05