Italia e prescrizione

La prescrizione, grazie all’intervista di Piercamillo Davigo, alle reazioni del Governo e al rilievo mediatico del tema Giustizia, è un argomento di interesse nazionale. Come l’economia, la crisi dei migranti e la minaccia del terrorismo islamico.

Se gettiamo lo sguardo sulle prime pagine dei quotidiani, accanto al barcone che affonda, al gabbiano ricoperto di petrolio o al grafico sul crollo della Borsa, due parole sulla prescrizione - o, più in generale - sulla Giustizia, le troviamo di certo. E, allora, tutti a parlare di prescrizione: dai grandi editorialisti, sempre attenti a non urtare la suscettibilità di nessuno, al cosiddetto uomo della strada, il quivis de populo, che ne discetta nello stesso modo in cui critica l’arbitro (cornuto) per il rigore concesso in favore della Juventus.

È questione di pancia, la prescrizione, perché - questo lo hanno capito tutti, compresi i non addetti ai lavori - impedisce di incarcerare i politici che rubano e di recuperare il malloppo sottratto alle casse dell’Erario.

Qualcuno, pochi per la verità, ha timidamente chiesto quali siano i termini di prescrizione previsti, ad esempio, per la concussione. Ve lo dico io: se viene compiuta qualche attività processuale, servono 16 anni. Altrimenti, 12. Mica male. I miei figli, a 16 anni, frequentavano la terza classe delle superiori: li avevo svezzati, accompagnati all’asilo, introdotti nel mondo della Scuola, sostenuti all’esame di licenza media e rimbrottati quando sbagliavano il genitivo della terza declinazione. Sedici anni sono un sacco di tempo, pensandoci bene. Ma non bastano, si dice. I furbastri (i ladri, insomma) commettono reati difficili da scoprire e quando li si scopre, voilà, il tempo è trascorso.

Sono giorni che mi chiedo quante concrete probabilità vi siano di scoprire nel 2025 un peculato del 2015. Mi chiedo, anche, se i testimoni, sentiti nel 2025, ricorderanno qualche cosa e se i documenti saranno ancora reperibili. Ho dei dubbi. Anzi: mi viene il dubbio che l’argomento sia molto debole. A questa obiezione, si replica: senti, facciamo così. Blocchiamo la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Voi siete nemici dell’Inps, ammettetelo. Se la prescrizione non decorre, e voi non fate il processo di appello, il cattivo (il ladro) deve attendere l’età della pensione per sapere se è colpevole. Aspetta, aspetta, mi dicono: aboliamo l’appello. Non serve. Anche a volere trascurare il fatto che non potete - abbiamo obblighi internazionali non solo in campo monetario - permettetemi di dire che nutro seri dubbi sul dogma della infallibilità. Le statistiche dicono che in appello molte - troppe - sentenze vengono ribaltate. Che sbagli il primo o il secondo giudice conta poco: la divergenza esclude che tutto sia fatto proprio per benino.

E allora? dicono loro. Che cosa pensi di fare? Abolire il processo. Costa meno. D’altra parte: non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti. Inutile è l’idea che si debbano processare i colpevoli per attestare quello che sappiamo già. Ho raccontato questa storia ad un inglese. Credevo sorridesse. Mi ha tolto il saluto.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:26