Riforma costituzionale: bugie e truffe

Matteo Renzi è un falsificatore che mente sapendo di mentire. Infatti presentò la riforma costituzionale enunciando, sostanzialmente, tre motivi: accelerare il processo legislativo, a suo dire lento e inadeguato ai tempi; semplificare l’assetto del sistema rappresentativo; risparmiare sui costi delle istituzioni rappresentative (è scritto perfino nel titolo).

Il primo motivo è semplicemente falso perché la funzione legislativa in Italia è la più efficiente al mondo per quantità di leggi e norme prodotte dal complesso Parlamento-Governo, sebbene la meno apprezzabile per la loro qualità; anzi, la scadente qualità delle leggi, riconosciuta in primo luogo dagli stessi legislatori, è diretta conseguenza della velocità con cui vengono approvate. Nella legislatura in corso sono stati approvati 429 “atti legislativi”: in media 12 al mese! E Renzi osa parlare di lentezza.

Il secondo motivo è semplicemente incoerente, contraddittorio, ipocrita, dunque falso anch’esso perché l’aver conservato un “senaticchio” di 95 consiglieri regionali, eletti o nominati non si sa ancora come, con poteri d’interdizione e con attribuzioni conflittuali con la Camera non semplificherà affatto il sistema rappresentativo ma vi introdurrà il germe del contrasto tra Stato e Regioni, non solo sulle rimanenti leggi bicamerali ma anche e soprattutto sulla gestione e distribuzione delle risorse pubbliche, con l’aggravante che, nelle leggi bicamerali, l’eventuale “resistenza” del Senato diventa insuperabile, perché il Governo non può più porvi la “questione di fiducia”. Infatti, con la riforma costituzionale, concedere e negare la fiducia spetta alla sola Camera dei deputati. Inoltre, tali senatori potranno disporre inchieste parlamentari (consiglieri regionali e sindaci, che non rappresentano più la nazione, con i poteri della magistratura!) e saranno protetti dalle immunità parlamentari, come se fossero rappresentanti del popolo. Il terzo motivo è una mistificazione bella e buona perché il presunto risparmio sulla spesa pubblica, consistente nella mancanza d’indennità parlamentare ai neosenatori, si ridurrà a quantità trascurabile, dal momento che costoro percepiranno un quasi equivalente rimborso spese, contributi di funzionamento dei gruppi e stipendi per i portaborse, mentre Palazzo Madama, con i suoi uffici e servizi, seppur un po’ ridotti, continuerà a funzionare. Se il risparmio fosse stato davvero lo scopo, Renzi avrebbe potuto e dovuto conseguirlo con l’abolizione tout court del Senato, come giustamente fatto con la soppressione del Cnel. La verità è che Renzi ha dovuto conservare “il senaticchio” per compensare la potente lobby delle Regioni, dominata dal suo partito.

Ma Renzi, oltre a svisare la realtà, è perfettamente consapevole della truffa che sta tentando di perpetrare. Infatti non ha voluto la riforma perché essa sarebbe nell’interesse degli italiani, ma l’ha voluta  per se stesso e per il suo personale interesse, che egli fa coincidere con le necessità della nazione. Tanto è vero che non solo, come Governo, l’ha sostenuta in Parlamento (cosa che né il presidente De Gasperi né alcun ministro fecero alla Costituente!), ma vi ha anche inopinatamente legato nientemeno la sua sorte politica. Inoltre, combinando la legge elettorale con il sostanziale monocameralismo, nominerà di fatto la Camera dei deputati che dovrà dargli la fiducia, realizzando un cripto presidenzialismo, un presidenzialismo all’italiana, in frode alla Costituzione, così distorcendo e depotenziando anche il ruolo del capo dello Stato. Ha inventato un unicum nei sistemi democratici: una minoranza di elettori che elegge con un ballottaggio la maggioranza parlamentare, mentre l’opposizione, cioè l’essenza del sistema liberale di governo rappresentativo, sarà di fatto debole e divisa, viepiù perché resteranno escluse dal Parlamento anche le liste sotto il 3 per cento. In barba alla previsione del nuovo articolo 64, secondo cui “I regolamenti delle Camere garantiscono i diritti delle minoranze parlamentari e il regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni”, è umoristico parlare di “minoranze” nel “senaticchio” e di “opposizioni” in una Camera dei deputati ridotta a cassa di risonanza della politica governativa, nella quale il governo potrà, nei tempi che vorrà, far approvare tutto ciò che desidererà, utilizzando i nuovi strumenti costituzionali, quali “il voto a data certa”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00