Ascesa e caduta di un “eroe” dell’Antimafia

Pino Maniaci, volto dell’Antimafia militante e patron dell’emittente televisiva siciliana Telejato è indagato per estorsione. Così un altro “santino” di quel mondo autoreferenziale dei moralmente puri è finito nella polvere. Non è il primo né sarà l’ultimo della sopraffina schiatta di “professionisti dell’antimafia”, come li aveva etichettati un indimenticato Leonardo Sciascia fin dal lontano inverno del 1987, a essere smascherato dagli inquirenti. Aveva forse torto, l’autore de “Il giorno della civetta” nel denunciarne il pernicioso attivismo? No. È solo che aveva visto più lontano di tutti.

L’uso per fini impropri delle indagini su una criminalità organizzata che c’è ed è una piaga mortale per la società civile che la subisce è una iattura per la democrazia ed anche per la credibilità stessa della giustizia. Se ciò è accaduto è perché, nel tempo, si è consentito che il piano etico si sovrapponesse a quello giuridico creando un intreccio pericoloso tra verità processuale e valutazione morale. È stata una miscela che è diventata esplosiva quando nel mondo imprenditoriale e nel vissuto sociale si è fatta strada la volontà del mercato di riconoscere valore aggiunto al patrimonio reputazionale tanto delle persone giuridiche quanto dei singoli produttori. La buona fama presso l’opinione pubblica alla quale un’impresa o un qualsiasi operatore professionale ambiscono concorre a determinare il profitto quanto i mezzi di produzione o le competenze del capitale umano di cui dispongono.

Se, per scelta o per nascita, ci si trova a operare in un contesto condizionato dalla mafia, ciò che maggiormente si desidera è di non essere associati, nell’immaginario collettivo e agli occhi degli inquirenti, a quel mondo criminale. L’offerta che taluni “professionisti dell’antimafia” si sono inventati trae quindi origine dal mercato. È mancato solo che l’Isfol li censisse nel Repertorio delle professioni, con tanto di codice di catalogazione alla voce: “Servizi etici alle imprese e ai cittadini”. Prestazioni offerte dalla categoria: “bollini blu” di assenza di influenze criminali inquinanti. In fondo, si tratta di un meccanismo non dissimile da quello che le leggi dello Stato prevedono per la certificazione di alcuni processi produttivi. Una sorta di HACCP dell’antimafia. Chi ce l’ha diviene un soggetto presentabile, viene chiamato nei salotti televisivi giusti e riceve dal “Circo Barnum” della stampa che conta un trattamento con i fiocchi. Chi non ce l’ha rischia la sanzione. Nel caso dei produttori beccati privi delle certificazioni obbligatorie lo Stato li multa, mentre per quelli che si sottraggono ai desiderata dei certificatori dell’antimafia la sanzione è lo sputtanamento mediatico. Che è proprio la condotta infame che, stando alle indagini, Maniaci avrebbe tenuto per facilitare i suoi maneggi. La “potenza” che gli si attribuiva altro non era che il potere di inguaiare le persone in diretta televisiva. Se le accuse di cui dovrà rispondere dovessero trovare conferma, il “collega” Maniaci avrà dimostrato che si può esser peggiori degli stessi criminali per i quali s’invoca la severità della legge. Che differenza c’è tra chi minaccia un sindaco di incendiargli l’auto o prendersela con i figli se non delibera una certa variante al piano regolatore e chi chiede denaro e posti di lavoro al medesimo sindaco minacciando di metterlo alla berlina in televisione? Nessuna: fanno schifo entrambi.

È ora che questa “antimafia” di convenienza chiuda bottega. E tutti coloro che nelle redazioni dei giornaloni ne hanno cavalcato le fasulle pulsioni morali sfruttandole per competere in complicati giochi di potere se ne facciano una ragione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:01