La nefasta illusione della democrazia etica

L’ottimo articolo di Arturo Diaconale, dal titolo “Il solco di Davigo e la spada di Rizzo”, mi offre lo spunto per allargare la riflessione a quella che io definisco come la nefasta illusione di una democrazia etica. Democrazia etica che in questo momento storico trova nel M5S una espressione politica per certi versi preoccupante, avendo ereditato molte vecchie tendenze presenti nella società, le quali ancora oggi continuano a ritenere che il tema dell’incorruttibilità di chi svolga una qualunque funzione pubblica sia centrale.

E così ad un Sergio Rizzo che, come rileva il direttore dell’Opinione, crede “che prima dei processi e delle sentenze sia un codice etico a fissare il confine tra i comportamenti accettabili e quelli censurabili di chi ha responsabilità politiche od amministrative”, sembra far da controcanto il fresco decalogo grillino della “Carta dell’Onestà”. In questo modo si disegna il paradigma di un mondo dominato da comitati etici, probiviri senza macchia e codici preventivi di autocensura dei comportamenti sbagliati. E quando un simile armamentario di belle intenzioni non basta, c’è sempre pronta la via giudiziaria per purificare le contaminazioni maligne che si insinuano nei palazzi del potere.

Al fondo di ciò vi è un principio profondamente errato, da cui deriva tutta una serie di pretese assurde tra cui, per l’appunto, quella di trovare il sistema infallibile per selezionare politici puri e onesti. Il principio secondo cui il bene dell’intera collettività dipenderebbe completamente dall’azione intenzionale della sfera politica. Alcuni lo hanno definito costruttivismo, altri politicismo. Ma al di là delle etichette, nella sostanza si coglie in tutto questo l’analoga prospettiva errata con la quale l’ultimo leader sovietico, Mikhail Gorbaciov, tentò di combattere la dilagante corruzione nella defunta Unione sovietica. Egli, a colpi di Perestrojka e di glasnost, si illuse di riformare un sistema profondamente errato dalle fondamenta. Ed è per questo che Gorbaciov fallì completamente la sua missione di ammodernare e, contemporaneamente, moralizzare il suo grande Paese.

Allo stesso modo, fatte le debite proporzioni, in Italia non è concepibile contrastare il pubblico malaffare affidandosi a meccanismi utopistici presi a prestito da Platone o da Thomas More, vagheggiando comitati di salute etica formati da vecchi saggi dalle barbe bianche, se non si va ad intaccare la madre di tutti problemi: l’ipertrofico Stato burocratico e assistenziale. Soprattutto in un Paese nel quale a tutti i livelli è sempre più forte la tendenza a caricarsi sulle spalle del prossimo, ed in cui la politica controlla oltre il 55 per cento delle risorse prodotte, relegando la libera iniziativa in un angolino, non vedo quale altra strada si possa percorrere per rendere più onesta l’amministrazione della cosa pubblica se non quella di ridurne al minimo essenziale il suo perimetro.

Quando la stessa politica è oramai divenuta un formidabile ascensore sociale, consentendo a qualunque demagogo di provincia di raggiungere, quando va male, una ben pagata poltroncina nell’oceano sterminato delle aziende partecipate o di una qualche banchetta povera di capitali ma ricca di posti a tavola, non c’è codice etico che tenga. L’eterna questione morale di questa disgraziata democrazia non potrà mai essere neppure scalfita finché la cultura e l’informazione sarà dominata da una schiatta di incalliti statalisti che continuano a vaticinare una democrazia perfetta, in cui chi amministra e spende i quattrini degli altri lo faccia sempre nel supremo interesse di quest’ultimi. Noi liberali diciamo un’altra cosa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59