Le bugie della riforma costituzionale

Sono rimaste inascoltate le immortali parole di Luigi Einaudi, primo Presidente della Repubblica: “La moltitudine odierna delle leggi nuove, il moltiplicarsi quotidiano di migliaia di leggi, decreti, regolamenti, ordini, ha fatto sì che la parola legge non ha più alcun senso, che la legge è diventata un arbitrio, che la legge non è più una norma generale applicabile in modo duraturo a tutti, ma una regola arbitraria, creata volta per volta a regolare il caso singolo: la legge non è più ordine, certezza di vita, ma disordine, fomento d’incertezza. La virtù dei parlamenti non consiste nel legiferare, ma nel discutere. Discutendo si vede che, nove volte su dieci, le proposte nuove sono erronee, sono riproduzioni di vecchi errori, di vecchie esperienze passate. La discussione ne mette in luce l’inconsistenza e le fa andare a fondo. La virtù dei parlamenti non si misura dal numero delle leggi approvate ma da quello delle proposte di legge abortite lungo il faticoso cammino della pubblica discussione”.

Eppure, quando il Maestro espresse questi mirabili pensieri, che uno Stato serio scolpirebbe nelle aule parlamentari, la catena di montaggio delle leggi non era nemmeno lontanamente efficiente come adesso. Non esistevano né l’Unione europea né le Regioni, né le tante branche dello Stato, nazionali e locali, che riversano ogni giorno su ignari cittadini una mortale colata di regolamentazioni su quasi ogni aspetto della vita umana.

Incurante di tale “verità effettuale” (Machiavelli), il premier Matteo Renzi “va appresso alla immaginazione di essa” (Machiavelli) e, contro ogni logica, propone una riforma costituzionale che egli, seriamente, giudica indispensabile per accelerare la produzione legislativa, la quale già soggiace ad un vero e proprio taylorismo normativo. Infatti ogni anno, alla vigilia delle ferie, i presidenti di Camera e Senato gareggiano nel vantarsi di quante più leggi hanno approvato nell’ultimo anno. Gli italiani in materia non hanno mai sofferto di crisi produttive. Renzi pretende di abolire il bicameralismo perfetto perché ritarda (sic!) l’approvazione delle leggi, quando, al contrario, il raddoppio della forza frenante ne costituisce la vera, profonda, negletta “ratio iuris”. E questa irrazionale pretesa viene da un governante che marcia alla media di circa dodici leggi al mese!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:01