In merito allo scisma radicale

È difficile entrare nel merito di quello che Maurizio Turco ha definito uno scisma avvenuto tra i radicali nei due anni e mezzo passati quando Marco Pannella era ancora in vita ed esploso apertamente adesso che il leader storico è morto. Le battaglie radicali sono state sempre aperte, ma la comunità dei radicali è stata sempre molto chiusa. E per chi l’ha seguita dall’esterno come osservatore senza mai farne parte è molto complicato capire dove possa essere il confine tra il vissuto delle persone e le loro valutazioni e posizioni politiche.

Il cosiddetto “scisma”, però, è diventato pubblico. Ed anche se difficile diventa quasi doveroso interrogarsi non solo su dove potrà andare a sfociare la frattura verificatasi tra i radicali ma, soprattutto, sulla ragione di fondo di questa spaccatura.

In apparenza, come ha spiegato Turco ma come ha anche esposto con estrema chiarezza Emma Bonino dal palco di Piazza Navona dove era esposta la bara di Marco Pannella, il dissidio di fondo ruota attorno alla scelta se creare un partito per fare le battaglie radicali o se fare le battaglie evitando di dare vita ad un partito che partecipa alle normali competizioni elettorali del Paese. La critica serrata della Bonino contro chi ha sempre riempito di lodi i radicali evitando però di dare loro i voti necessari per essere una forza politica di peso, non si presta ad equivoci. L’ex commissaria europea, insieme a Cappato e Magi che non a caso si sono candidati rispettivamente alle comunali milanesi ed a quelle romane, punta ad avere meno lodi ma più voti. Ed a fare del movimento radicale un partito collocato nell’area della sinistra e portatore di quella cultura liberale che è diventata egemone (fino al punto da essere definita politicamente corretta) in tutti i gruppi dirigenti più ristretti delle democrazie avanzate.

Marco Pannella, che non aveva mai voluto costruire un partito strutturato in maniera tradizionale, la pensava in maniera opposta. Aveva sempre gradito le lodi, da qualsiasi parte provenissero, ed aveva puntato ai voti solo per lo stretto necessario alla sopravvivenza del movimento. A lui bastavano un migliaio di militanti irriducibili, Radio Radicale e la sua prorompente vitalità ed inventiva per condurre battaglie che se fossero state solo di partito non avrebbero mai potuto incidere sulla intera società italiana.

La scomparsa di Pannella sembra fornire una risposta implicita allo sbocco di questo scisma. Senza la vitalità e l’inventiva del leader la scelta della formazione di un partito alla ricerca di voti e non solo di lodi sembra obbligata. Ma non è un controsenso costruire un partito nell’epoca in cui i partiti stanno assumendo la forma magmatica e non definita anticipata da Pannella? E, soprattutto, a chi si può rivolgere un partito che non ha più una borghesia a cui accendere la passione per i diritti individuali grazie al benessere consumistico diffuso ma rischia di avere come referenti solo i ristretti “salotti buoni” convinti che il malessere diffuso del ceto medio si risolve con le brioches del buonismo ipocrita?

A queste domande solo il tempo ed i diretti interessati possono dare delle risposte. Chi sta all’esterno può solo dire che i grandi leader nascono solo dalle grandi battaglie ideali.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:15