Referendum, arma di distrazione di massa

Un referendum scagliato come la lancia contro la Luna, come un missile che esploderà disintegrando le vecchie, arcaiche, desuete istituzioni. Altro che rottamazione. Una guerra senza quartiere, quella dichiarata da Matteo Renzi. Total recall, si dice nei film con i superuomini tecnologici. Guerra totale, con robot imbattibili e con l’arma di distruzione di massa. Ma sono solo film, con qualche jingle appiccicato. Se guardiamo dentro a questo schema guerriero, l’insegnamento del cinema (e tv) è talmente evidente da prestarsi più che alla metafore, alla parodia e proprio nella missione referendaria che è pur sempre un affare di guerra - ma di tipo diverso, sottile, ingannevole - è bensì un’arma, ma di distrazione di massa.

Noi saremmo ben felici se un Renzi, e dico Renzi, fosse un emulo più di de Gaulle che di Perón. Il fatto è che né il generale francese né il marito di Evita ci stanno nel paragone adombrato dal nostro giornale. Intanto perché Matteo batte in super-ego qualsiasi “uomo forte” apparso sul palcoscenico della storia recente e poi perché al Premier non interessano similitudini auguste salvo che per distogliere l’attenzione da qualche intoppo che gli è appena arrivato. E di intoppi ne ha trovati, se non provocati, tanti. Il primo non è tanto o soltanto questo referendum, quanto, piuttosto, l’utilizzo che - ad ancora sei mesi dalla data - ne sta facendo lui e anche i suoi compagni/e. I quali, al di là di ogni ragionevole dubbio, si sono lanciati in una kermesse, per ora televisiva pubblica (e dici poco...), il cui spettacolo è degno del palcoscenico scelto perché gli altri soggetti antagonisti aggiungono del loro, altre fascine al fuoco, altre armi speciali di distrazione di massa.

Mi spiego meglio. Il caso dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) che ha deciso di votare no al referendum (in sintonia con Magistratura Democratica) sarebbe finito in un dettaglio se non fosse che per l’aggiunta a quel no di motivazioni evocanti l’antifascismo, la lotta contro i nazisti e la Resistenza partigiana la quale, ovviamente, continua anche contro questo referendum “autoritario”. Non importa che i partigiani veri siano quasi tutti morti, ciò che conta è il rifarsi ad una pagina leggendaria della storia mutuandola e aggiornandola come la sinistra ha sempre fatto. Perché lei ha sempre bisogno di rifarsi a qualcosa, specialmente se si tratta di lotta al nazifascismo. Perché tale lotta solo loro l’hanno fatta, come ce l’ha tramandata la vulgata solennemente incisa nei tomi dell’“Elemond” (dove Mond sta per Mondadori, e ho ridetto tutto). Siccome Maria Elena Boschi ha replicato piccata nel format domenicale dell’Annunziata che i partigiani veri voteranno, invece, per il sì al referendum; si è alzata la canea delle proteste antiboschi, antirenzi e antifasciste. Un altro. Un ping pong con quell’arma speciale di cui sopra.

Diciamocelo: è stata, quella della bella ministra alle riforme, una voce dal sen fuggita. Capita. Ma, le altre, le voci contrarie, no? Erano e sono forse peggio. Che c’entrano i partigiani col no o col sì al referendum costituzionale? Che c’entra la Resistenza, l’antifascismo, la guerra di Liberazione? C’entrano come arma di distruzione di massa, appunto. Ma l’esempio più singolare, rivisto sempre sul set che va per la maggiore, ci viene dal format, anche questo femminile, della sollecitante (quelle armi) Lilli Gruber su “La7”. C’erano la Debora Serracchiani e la Bianca Berlinguer. Un parterre di dame. Bianca, non poco immusonita (il che non le dona, inter nos) in nome e per conto della memoria di suo padre tirato in ballo da Renzi come propugnatore del sì al monocameralismo. Giusta la difesa del ricordo dei propri padri (e madri). A maggior ragione se un padre si chiama Enrico Berlinguer, segretario di un Pci che lo ha elevato ad icona. Ma la reazione della figlia in questione, ci è sembrata un cicinino pretestuosa e un tantinello omissiva. Il padre Enrico era davvero a favore di un Camera unica, solo che ne chiedeva il voto proporzionale. Un’aggiunta dimenticata, forse volontariamente, da Renzi, ma non è poi così grave in una lotta tutta sloganistica come questa. Le omissioni, ma forse non ce n’era il tempo, riguardano l’intera politica del Pci, in primis di Berlinguer, contro quella che venne chiamata dal Psi craxiano: la grande riforma istituzionale tesa alla stabilità, alla governabilità e alla modernizzazione, ma anche all’alternanza (seppellendo la fasulla concezione della “conventio ad excludendum” di un Pci sempre in ritardo e dal cordone ombelicale con l’Urss) e con tanto di presidenzialismo in testa.

La faccio breve, senza soffermarmi sui tentativi del liberale Aldo Bozzi, del democristiano De Mita, dell’ex Pci D’Alema, tutti falliti in trenta-quaranta anni, con trentanove governi. Oggi diventati sessantanove, i governi, dopo settant’anni. Il Pci di Berlinguer attaccò a testa bassa la grande riforma, la paragonò a un gaullismo imitatorio, e parlò di Bettino Craxi come di novello dittatore col suo liberalsocialismo, visto come il fumo negli occhi proprio da quel Biagio de Giovanni che l’Unità renziana ha recentemente censurato perché “anti”, facendo arrabbiare la Bianca. Alla quale vorremmo tuttavia ricordare una critica al vetriolo dello stesso de Giovanni a difesa del comunismo marxista (si era alla vigilia degli anni Ottanta!) contro quel liberalsocialismo innervante la grande riforma: “Si tratta della tendenza (magari non del tutto consapevole) a sostituire la tradizione liberaldemocratica a quella marxista e comunista. È fondamentalmente una complessa operazione di mettere un altro ‘cervello’ sul ‘corpo del movimento operaio’”. Ieri e oggi. Referendum sì o no. Ma sempre con armi di distrazione di massa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00