B., Alfano, Verdini,  Casini: vecchi o nuovi?

Non hanno per niente torto Bersani e Speranza quando dicono che la riforma costituzionale e l’Italicum sono strettamente legati tra loro. Questo non vale per tutta la riforma. Gran parte della revisione del Titolo V, ad esempio, non c’entra niente con il sistema elettorale. Ma, per il resto, il modo in cui la maggioranza politica della Camera è eletta, incide non poco sul funzionamento della forma di governo disegnata dalla rinnovata Costituzione.

Si pensi alla concentrazione del potere legislativo soprattutto in una Camera, alla non elettività del Senato, all’introduzione dell’ordine del giorno prioritario del governo per la discussione di alcuni disegni di legge (art. 72. 7), al ruolo del governo nella difesa dell’unità e dell’interesse nazionale (art. 117. 4), ai poteri sostitutivi del governo nei confronti delle Regioni e degli Enti locali (art. 120. 2 Cost.). Tutto questo può trasformare, attraverso l’Italicum, una forma di governo debole in un sistema parlamentare forte.

In questa prospettiva è evidente che, altro è avere un’Assemblea politica dominata da un solo partito, altro dover mediare con una maggioranza di coalizione. Nel primo caso, il governo parlamentare funzionerà come un vero e proprio “premierato” di tipo britannico. Ecco perché l’Italicum realizza il premierato. Perché i 340 seggi riconosciuti al partito vincente saranno in grado di assicurare la maggioranza di governo; inoltre, la compattezza della maggioranza parlamentare sarà garantita dalla totale soggezione dei deputati al Premier-Segretario, da cui dipendono le liste per il rinnovo dell’assemblea parlamentare.

Di fronte a questo premierato italiano (il “Nazarenum”) - più forte di quello proposto da Berlusconi e bocciato nel 2006 come autoritario - mi pare incredibile come i partiti, che presumibilmente resteranno fuori dal ballottaggio, non manifestino una qualche reazione di fronte ad un esito elettorale per loro in gran parte già scritto.

Nel 2015 l’Italicum è stato pensato da Renzi e Berlusconi nella logica del bipartitismo, immaginandosi entrambi leaders dei rispettivi contrapposti schieramenti. Oggi il contesto è cambiato. Renzi è saldamente a capo del polo di sinistra, ma Berlusconi è fuori dalla partita, impelagato in un confronto - tipo primarie di area - per la conquista della guida del centrodestra. Inoltre Berlusconi non ha più alcun potere “persuasivo” nei confronti di Renzi. Mentre un potere interdittivo e persuasivo possono averlo, ancora per un po’, Alfano, Casini e Verdini. Parrebbe logico, se non altro per puro calcolo elettorale, che i tre, assieme a Berlusconi, si facessero carico di un qualche accordo sulla modifica dell’Italicum, almeno per ripristinare l’originario premio di maggioranza alla coalizione. Del resto questa modifica, oltre che utile al centrodestra, è utile al pluralismo parlamentare italiano che, piaccia o non piaccia, non è mai un disvalore, e non è morto con l’approvazione dell’Italicum.

Non ci vuole molto a prefigurare che, se si andasse a votare con l’attuale sistema, i partiti piccoli e medi resterebbero fuori da tutto. Questo risultato non farebbe bene alla democrazia. L’unico polo, competitivo e compatto, nei confronti di Renzi sarebbe il Movimento 5 Stelle, mentre Forza Italia, che pur è il rappresentante in Italia del primo partito europeo (il Ppe), resterebbe fuori da ogni ballottaggio. Lo stesso vale, a maggior ragione, per Alfano, Casini e Verdini.

Probabilmente il Cavaliere immagina di poter essere ancora lui a guidare il polo alternativo al Partito Democratico ma, a giudicare dai contenuti del programma di Salvini, la formazione di un omogeneo polo di centrodestra, dotato di una vocazione di governo, pare molto difficile da ricostruire.

In questo possibile scenario, se nessun partito di centrodestra fosse in grado di guadagnare il ballottaggio, si potrebbe verificare che Salvini sosterrebbe al secondo turno il movimento di Grillo, mentre Berlusconi, come ha già anticipato, non avrebbe nessuna intenzione di inseguirlo su questa strada, sia per le Comunali di Roma che per l’elezione della Camera. Così, la totale disintegrazione dell’area di centrodestra sarebbe conclamata.

Non sarebbe meglio assumere subito le iniziative che servono? L’attendismo di Berlusconi, nella speranza di riacquistare la guida dell’intera area di centrodestra, pare irragionevole. Non converrebbe al Cavaliere cercare di ricostruire un polo “moderato” di centrodestra, affiliato al Ppe, competitivo e dialogante con Salvini e Meloni, ma fermo nel contrasto di ogni tipo di populismo? Il percorso è logico. Per conseguirlo serve però un Italicum parzialmente diverso, con l’attribuzione del premio di maggioranza alla coalizione e non a un solo partito, al fine di garantire la partecipazione all’area di governo di un minimo di pluralismo politico. Farebbe bene alla democrazia. Farebbe bene a Renzi che, in questo modo, darebbe prova che la riforma della Costituzione è per l’Italia, e per nient’altro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00