Che notte, quella notte!

Ebbene, ve lo confesso, da consumato insonne: non c’è niente di maggior suspense come vivere un’intera notte, o quasi, in attesa di un risultato che all’inizio appariva addirittura scontato - grazie ai sondaggi (?!) - e poi rendersi conto che persino un’idea “sputtanata” come l’Europa ci costringe a ruvidi dormiveglia per vedere come andrà a finire. Si sa, quando la politica latita, quando la sua mediazione svanisce, quando cioè l’Europa più che allo spirito della civitas si ispira alla logica delle alte burocrazie, prima o poi i nodi vengono al pettine. La trasmissione di Enrico Mentana ha svettato su tutto e tutti, dando subito la sensazione, con quell’enorme spazio aperto a illustri ospiti (Mario Monti, Enrico Letta, ecc.) che il suo condurci per mano nella notte della Brexit (remain/exit) sarebbe stato meglio di un film hitchcockiano. Peraltro, il regista di “Psyco” era inglese purosangue.

Forse non si è insistito abbastanza sul gioco, invero pesante, di una Borsa della City coi suoi up and down, ma sempre su, up, in alto, proprio in funzione dei sondaggi che davano una media del 52 per cento al sì (remain) e il 48 per cento al no (exit). Essendo questi sondaggi di fine mattinata, mass media e politici europeisti cantavano già vittoria, mentre la Borsa esultava, speculando trionfalmente, anche perché la Gran Bretagna è la Patria delle scommesse. Esultavano anche i politici inglesi, oltre ai giornalisti, osservando l’iniziale altissima partecipazione al referendum, e all’imminente, pressoché sicura vittoria di David Cameron, che quel referendum aveva voluto. Tant’è vero che deputati conservatori del sì e del no gli avevano chiesto di restare comunque, in qualsiasi caso. Chissà quanti pentiti per questa dichiarazione che ometteva, dimenticava, come tante, troppe altre dichiarazioni, la supremazia in Europa delle burocrazie, dei poteri forti, alti, altissimi, che impongono e dettano norme e leggi senza che la politica, grazie anche all’inutilità del Parlamento europeo e al processo decisionale, labirintico e frustrante, sia oggi in grado di riaffermare il suo ruolo insostituibile di mediazione e di guida. Se non ritorna la Politica con la P maiuscola, l’Europa è finita.

Nel cuore della notte qualcosa stava fatalmente accadendo e lo stesso Mentana, eroicamente lucido, ne registrava quella sorta di mal di mare che prende ciascuno quando la riva appare e scompare, si vede e non si vede più. È allora che nel sentimento di attesa si insinua la sensazione di un destino diverso in arrivo. Cosicché si comincia a parlare di risultati di una città, Sunderland, piuttosto che di Birmingham o delle Isole Scilly, della provincia piuttosto che della metropoli (Londra, la grande Londra, non arriva!) delle zone povere piuttosto che di quelle ricche. Intanto, in ogni collegamento, a fianco o in mezzo alla sua gente, Nigel Farage annunciava stentoreo la vittoria, il trionfo, “freedom Great Britain!”.

Ad un certo punto della notte c’è stata una discesa, un irresistibile conteggio - sadico e ingiusto - un vero e autentico capovolgimento del sondaggio della mattinata, del grande inganno che aveva prodotto gli up and down della sterlina (soprattutto gli up), forse per mettere da parte qualcosa nel caso del down della notte. Lentamente ma inesorabilmente il sondaggio, come si diceva, non solo si piegò al pareggio ma, di tanto in tanto, vedeva crescere i dati, quelli reali, non dei sondaggi, a favore dell’exit della Gran Bretagna dall’Europa. E tuttavia... Tuttavia c’era ancora la grande Londra da scrutinare e, forse, chissà, hai visto mai, la “Great London” avrebbe potuto come sempre dare una risposta inequivocabilmente europeista. Ma intanto, si cominciava a parlare dei nostri lavoratori nel Regno Unito, che situazione avrebbero trovato in caso di vittoria dell’exit, e quelli dell’Erasmus, avrebbero dovuto pagare il doppio? E quanti sono gli italiani in Gran Bretagna, migliaia? E ci sarà l’effetto domino in Olanda, Danimarca, Austria? Finché la sconfitta dell’ottimismo si profilò nell’alba estiva facendo cadere le false illusioni dei sondaggi della mattinata, colpevoli, probabilmente, di qualche infarto di europeisti senza se e senza ma.

Alan Friedman tirò giustamente in ballo le elezioni Usa con quel Donald Trump così uguale a quel Farage sempre più incontenibile e saltabeccante da una televisione all’altra. Sempre Friedman ricordava che anche la ricchissima California è uno Stato repubblicano che pur tuttavia dà il suo sussidio annuale al Missouri più povero, è così che si deve fare, invece... Diciamocelo: il vero vincitore di questo storico sondaggio è la paura. Paura dell’immigrazione (a Dover si parla di giungle di immigrati, e Farage ne annuncia trecentomila in arrivo), della crisi economica, del lavoro, ecc. Per l’uscita dall’Europa hanno votato gli over 60, per rimanerci i giovani: il che la dice lunga sullo stato delle cose in questo Vecchio Continente.

In realtà la crisi più vera è politica. E sottolinea di nuovo errori, colpe, responsabilità, ritardi ed egoismi della politica europea. L’Europa ha smarrito la vocazione dei suoi fondatori, ha perso la volontà di essere presente nelle sfide mondiali, non ha più voglia di assumere le proprie responsabilità politiche di continente più ricco e più bello del mondo, di interlocutore capace, consapevole e orgoglioso di sé come una grande patria che dà ascolto ai suoi figli, a cominciare dai più poveri, dai più bisognosi. Ed è così che ritornano le piccole patrie e, purtroppo, i tristi ricordi di guerre nazionaliste che sembravano sepolte nella notte dei tempi.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:40