Il Papa e l’importanza di essere crociato

Francesco, il Papa che ha fatto del vergognarsi del passato della Chiesa la sua missione, ha rimediato un sonoro ceffone dalle autorità di Ankara perché ha avuto l’ardire, durante la sua visita a Yerevan, capitale dell’Armenia, di ritornare sulla questione del genocidio del popolo armeno degli inizi del Novecento.

Di quell’olocausto furono responsabili i turchi dell’Impero ottomano. Lo dicono i documenti e le testimonianze raccolte nel corso di un secolo. Fu un’operazione di pulizia etnica ante-litteram. Per agevolare la costruzione di un’Anatolia puramente turca, tra il 1915 e il 1916, circa un milione e mezzo di armeni furono deportati e sterminati. Per le autorità di Ankara semplicemente “il fatto non sussiste” e chi osa parlare di genocidio rischia la reclusione da sei mesi a due anni. Tanto prevede l’articolo 301 del Codice penale della Repubblica di Turchia per il reato di vilipendio dell’identità nazionale.

Quindi, per la legge turca Bergoglio sarebbe, tecnicamente, un criminale. Per di più recidivo, visto che già nell’aprile dello scorso anno, a proposito del trattamento riservato agli armeni, il Pontefice, commemorandone i martiri a cent’anni dai massacri, lo definì il primo genocidio del XX secolo. Prima di quel momento nessuno dal Vaticano aveva osato chiamare le cose con il loro nome e cognome. Il governo turco non la prese bene almeno per due ragioni. La prima rimanda al legame di continuità che l’uso della parola “genocidio” inevitabilmente crea con l’altro e più noto olocausto compiuto dai tedeschi a danno del popolo ebreo. La seconda, invece, tocca il nervo scoperto dei rapporti tra l’Islam e la cristianità. Non v’è dubbio che nella persecuzione degli armeni, oltre all’elemento etnico- politico, abbia avuto un peso determinante la motivazione religiosa. È una verità che gli islamici non vogliono riconoscere, ma la persecuzione dei cristiani nei territori a maggioranza islamica è una realtà ancora attuale.

Nel 2015 il governo turco richiamò il proprio ambasciatore presso la Santa Sede, Mehmet Pacaci, per “consultazioni”, come si dice in gergo diplomatico quando si è giunti a un passo dalla rottura tra due Stati. Trascorso un anno, placate le acque, Bergoglio, profittando del viaggio in Armenia, ritorna sull’argomento. È probabile che dietro la mossa del gesuita Francesco non vi sia alcuna intenzione di provocare le autorità di Ankara. Piuttosto, è ipotizzabile che la scelta di rievocare l’immagine tragica del genocidio sia funzionale al processo di riavvicinamento che è in corso tra la Chiesa di Roma e quella ortodossa armena. D’altro canto, l’unità delle comunioni cristiane è un tema all’ordine del giorno almeno degli ultimi tre Pontefici che si sono succeduti al soglio petrino. Cionondimeno, i turchi si agitano. Per sommo disprezzo verso questo Papa gli danno del “crociato”. Come se fosse un insulto. Ad averceli di crociati veri di questi tempi, forse le cose nei rapporti con l’Islam andrebbero un pochino meglio di come vanno ora. Perché, sebbene non piace all’intellighenzia del “volemose bene” che lo si ricordi troppo spesso, ma nel Medio e nel Vicino Oriente a finire massacrati, crocifissi, bruciati vivi, stuprati, deportati, schiavizzati, sarà pure un caso, ma sono sempre cristiani per mano di servitori, più o meno legittimi, di Allāh. Non si hanno notizie del contrario.

Ora, se una volta tanto il Papa trova il coraggio di dire la verità su una vicenda storicamente certa e documentata, gli evoluti governanti occidentali dovrebbero fargli sponda intimando alla Turchia di piantarla con il negazionismo a buon mercato e affrontare un buona volta i conti col proprio passato. Magari si potrebbe prelevare qualche soldo dai 6 miliardi di euro che la Ue dispensa ad Ankara perché si tenga gli immigrati e destinarlo al capitolo di spesa: “la Storia per il verso giusto”. Il titolo fa un po’ renziano ma non sarebbe una cattiva idea.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03