Confalonieri, Renzi  e il patto leonino

C’è un solo ostacolo all’idea lanciata da Fedele Confalonieri di una rivisitazione del Patto del Nazareno in funzione antigrillina. Ma si tratta di un ostacolo praticamente insuperabile. Perché è rappresentato da uno dei due soggetti che dovrebbero sottoscrivere la nuova intesa, cioè Matteo Renzi.

L’ipotesi prospettata da Confalonieri sarebbe perfetta per uno scenario da Prima Repubblica. Dove Dc e Pci, partiti antagonisti ma paritari, potevano pensare di fronteggiare l’emergenza, fosse quella della difesa dello spirito antifascista o quella della lotta al terrorismo, realizzando compromessi più o meno storici da allargare ad altri partiti (Psi e minori laici) di consistenza ridotta ma di eguale legittimazione e dignità politica. L’idea del più stretto amico e collaboratore di Silvio Berlusconi potrebbe andare bene anche in uno scenario da Seconda Repubblica, lo stesso in cui è nato il Patto del Nazareno, cioè l’intesa tra i due soggetti più forti della politica italiana consapevoli della necessità di dare comunque un Governo al Paese e della impossibilità di farlo senza trovare un accordo tra di loro.

Ma quei due scenari presupponevano un riconoscimento reciproco di legittimità, autorevolezza, considerazione. Il patto che nasceva da questo riconoscimento era un accordo tra pari, che magari con il tempo avrebbe potuto determinare qualche squilibrio tra chi aveva più filo da tessere e chi meno, ma che in partenza non prevedeva alcuna forma di squilibrio e vantaggio per l’uno o per l’altro.

Non è un caso che il vecchio Patto del Nazareno sia saltato. Perché Matteo Renzi, convinto di avere dalla sua la stragrande maggioranza del Paese, lo ha trasformato in un patto leonino e perché da quel momento in poi si è convinto di essere ormai arrivato in una posizione infinitamente superiore a quella di qualsiasi altro soggetto politico italiano. Una posizione che impedisce intese paritarie, ma che prevede solo la piena e totale sottomissione ai poteri ed ai voleri dell’“uomo solo al comando”.

Insomma Renzi si considera un Premier voluto direttamente dal popolo, come Hollande, come Obama, come Putin. Ed in quanto tale non stipula accordi paritari ma solo quelli in cui il suo ruolo di comando non viene in alcun modo intaccato.

Confalonieri ha ragione quando pensa che per assicurare stabilità al Paese sarebbe necessaria una grande intesa tra tutte le forze autenticamente democratiche contrarie alle avventure a rischio totalitario di marca grillina. Ma il vero ostacolo a questa prospettiva è solo l’egocentrismo renziano, condizione che non può essere mascherata da qualche bagno di umiltà contingente, ma da un indispensabile atto di rinuncia ad una supremazia mai sancita da un voto popolare: l’uscita da Palazzo Chigi. Da segretario del Partito Democratico Renzi può trattare con tutti. Con il doppio incarico ogni patto firmato con lui è un patto leonino.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:04