Tramonta Obama, vive il monito di Ratzinger

Ci si chiede con angoscia, in un mondo percorso dall’incertezza, che cosa possa succedere ancora di più terribile nell’ossessionante incedere di un terrorismo che ha colpito al cuore l’Europa, innanzitutto, e ora la Germania di Angela Merkel, dopo la Francia di François Hollande.

L’opinione pubblica spaesata e impaurita si rivolge al di qua e al di là dell’Oceano a figure in facsimile, in leader dei quali il populismo è la bandiera sventolante là dove meno te l’aspettavi, nel Vecchio Continente, mentre negli Usa, avanza con scarponi mediatici ferrati l’America di una ex maggioranza silenziosa che cerca in Donald Trump una risposta immediata, fattiva e possibilmente dirompente. La vecchia Europa è pur sempre la nostra patria, anche e forse soprattutto dopo la Brexit, e sembra ricorrere alle antiche ricette fascistoidi sia pure depurate di antisemitismo strutturale (prevale l’odio per i musulmani) e di campi di concentramento.

Certamente simili rigurgiti potrebbero toccare anche noi, oltre che a Francia e Germania, giacché la tendenza alla riscoperta dell’uomo forte si coniuga con la paura, persino in un’America dove, al di là dei niet a Trump dei Bush e dei McCain, avanza l’idea arcaica ma sempre attrattiva del “faremo da noi, che c’importa dell’Ue”.

Nel Vecchio Continente il colpo al cuore alla già “Cancelliera di ferro” ricondotta al ruolo di una first lady dell’incertezza, è destinato a far risuonare a lungo i rintocchi di una campana della quale non occorre, per noi, andare a chiedere per chi suona. Un’idea di un’Europa col suo nucleo tedesco portante e risolutivo sembra finire nell’ombra dei machete per strada e delle sanguinarie vendette di un oscuro mandante. Che tanto oscuro non è. Perché il grande tema della paura deriva anche, ma non solo, dal non approfondire l’entità sovrastante che vive, agisce e uccide là dove si sa dove sta, e lo si sa da parte di chi dovrebbe intervenire, e non da oggi.

Giacché il Califfato non è riconducibile, come una certa intellettualità nostrana pretende, ad un risveglio di un’identità postcolonialista e/o post interventista antica e recente. Il risveglio è una parola fin troppo nobile nel suo romanticismo risorgimentale per definire ciò che è sotto gli occhi di tutti, figuriamoci di tutte le intelligence, e che consiste, essenzialmente, nell’insanguinare e destabilizzare la democrazia come è intesa nell’Occidente per sottometterci all’Islam dell’integralismo religioso e della Sharia versus gli infedeli.

Il Califfo, in altri termini, non è un’astrazione. Ma è come se lo fosse se osserviamo la latitanza effettiva degli Usa di un Barack Obama il cui tramonto sembra davvero segnare e segnalare il contenuto criminale delle azioni e dei progetti proprio di quel Califfo la cui immanenza desta il terrore da noi e, nel suo mondo, la tentazione, se non di imitarlo, di farselo amico; basti vedere le sconvolgenti giravolte di Erdoğan col suo golpe, ancorché farlocco ma non farlocche le misure autoritarie in atto in Turchia. Il venir meno sistematico dell’azione obamiana ha indicato bensì una leadership che la storia bollerà a dovere, ma ha altresì messo in moto un fatale gioco del domino nella misura con la quale l’assenza di una guida mondiale genera a sua volta una riduzione, un rimpicciolimento delle leadership alleate coi risultati che ben vediamo.

Diciamolo fino in fondo: a Obama l’Europa non interessa, salvo che nelle parole di partecipazione ai suoi lutti. Belle, poetiche e nobili ma parole, solo parole e niente fatti. Qualcuno ha scritto, acutamente, che nella sua (di Obama) mappa del mondo, il concetto di Occidente è assente, se non come esperienza di straniamento come - del resto - lui stesso ha precisato, sempre da poeta e intellettuale, nella sua autobiografia qualificandosi come: “A westerner (un occidentale) non entirely at home in the West, an African on his way to a land full of strangers”. Appunto, uno dell’Occidente non del tutto a casa sua, uno dell’Africa in una landa piena di stranieri”.

Il fatto è che in questa landa desolata, in questo Occidente ci viviamo noi, che non siamo stranieri e non vogliamo esserlo nel senso del poeticismo senza costrutto del presidente Usa. Ci mancano i leader, ci manca il capo, l’uomo che si alza in piedi e indica la strada maestra, che sa la verità e ce la dice e agisce di conseguenza per eliminare il male del mondo di oggi, per difenderci. Cosicché, la non dissimile lontananza dall’Occidente di un Papa Francesco, che pure suscita simpatie e affetti, fa giganteggiare la figura di Benedetto XVI. Mai come in questi giorni il suo insegnamento ci illumina, risuonano alti e forti i suoi richiami all’identità europea, storica, cristiana, giudaica, alla nostra civiltà di valori e princìpi irrinunciabili, ai suoi moniti in cui fede e ragione s’intrecciano nel respingere al mittente le minacce del monoteismo musulmano “irriducibilmente antagonista”. Sì, ci manca questo Papa, questo leader.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59