Renato Brunetta e le verità nascoste

A leggere i giornali di questi tempi si corre il rischio di cadere in depressione. Eppure ci sono volte nelle quali certi articoli rinfrancano la mente. E il cuore.

È il caso della paginata che, la scorsa domenica, Renato Brunetta ha dedicato su “Il Giornale” al golpe infinito di Giorgio Napolitano. La sua denuncia è netta ed è suffragata da una rilettura di tutti i più recenti accadimenti della politica italiana attraverso un differente angolo visuale. Lui lo chiama approccio olistico, perché in politica come nella vita tout se tient. É un “J’accuse”, quello lanciato da un Brunetta in versione Émile Zola redivivo, che punta il dito contro il vero burattinaio della politica italiana. Scrive il parlamentare forzista: “Non sto accusando Napolitano di essere un uomo senza princìpi: purtroppo li ha e sa implementarli con una capacità straordinaria di trasformare i suoi progetti di raffinato sabotatore della democrazia in atti conseguenti”.

Brunetta dice il vero. Gli anni al vertice della piramide istituzionale il vecchio comunista li ha spesi a inseguire l’antico sogno della sinistra filosovietica e togliattiana: destrutturare il nemico politico fino ad annientarne le capacità di essere blocco egemone nella società italiana. Quando è stato il turno di comando del compagno Giorgio, la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista non c’erano più. C’era Silvio Berlusconi e il suo miracolo politico di dare rappresentanza a una pozione maggioritaria di popolo. L’astuto Napolitano ha percepito per tempo la solidità di questo intimo legame tra il leader e la sua gente. Attraverso un subdolo gioco di palazzo, fatto di lusinghe alternate a pugnalate alla schiena, ha puntato con successo a depotenziare il valore della partecipazione popolare alla costruzione della politica nazionale. Per suo volere, tra il 2011 e il 2014, tre Governi non espressi direttamente dalla volontà del corpo elettorale hanno visto la luce. Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi sono stati suoi prodotti. La sua azione dall’interno delle istituzioni si è svolta seguendo un filo ideologico costante: tenere il potere a prescindere dal voto popolare e, se necessario, anche contro di esso. Questa è la verità storica, poi c’è il presente. Come avverte lo stesso Brunetta, non bisogna abbassare la guardia perché Napolitano non è quel simpatico nonnetto pensionato come vorrebbe far credere, ma è ancora il capo comunista di sempre in piena attività. Lo dimostra l’intervista rilasciata a quelli de “Il Foglio”. Il grande vecchio guarda lontano, ben oltre l’“hortus conclusus” della stella cadente Matteo Renzi. Nei disegni dell’ex presidente della Repubblica fa capolino l’idea di ritirare in ballo una parte del centrodestra invischiandolo in un altro “Patto per l’Italia”. La logica è sempre la stessa: quando all’orizzonte si delinea una crisi di consenso per la sinistra, si tirano fuori offerte ammiccanti da rivolgere a una parte dei nemici per bloccarne sul nascere tentazioni riunificatrici. Divide et impera! si sarebbe detto una volta.

Ora, suggerire, come ha fatto Napolitano, la possibilità di rimettere mano all’Italicum è l’esca alla quale dovrebbero abboccare i sopravvissuti della stagione del Popolo della Libertà. In quest’ottica anche l’improvvisa apertura di Angelino Alfano, personaggio assai sensibile alle geometrie disegnate da Napolitano, a un dialogo con Forza Italia a patto che questa rompa con la Lega di Matteo Salvini, appare, per la concomitanza dei tempi, profferta molto sospetta. Con il consolidamento del fenomeno grillino il nuovo obiettivo prioritario è di tenere frazionata l’opposizione alla sinistra di potere mediante la cristallizzazione dello schema tripolare. Napolitano ha le idee chiare su come muovere le sue pedine sulla scacchiera e ciò lo rende, almeno per la destra, molto pericoloso.

Ecco perché, quando si tratta di lui, è bene stare in campana. “Timeo Danaos et dona ferentes”. Appunto!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:02