Congresso radicale,   l’idea di Dell’Utri

“Che aspettiamo a fare un partito e andare a vincere le elezioni? Così poi le facciamo noi le vere riforme liberali?”

L’intervento di Marcello Dell’Utri, “galeotto” etichettato con il marchio della condanna definitiva a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, il reato che sul Codice non c’è e che spesso esiste solo nella mente di alcuni Pm d’assalto, ha concluso così i propri dieci minuti di intervento al Congresso straordinario del Partito radicale transnazionale che si sta svolgendo a Rebibbia, nell’aula magna del carcere romano. Lo stesso congresso in cui le due anime del partito, nel triste interregno del dopo Pannella, si stanno decisamente lacerando spesso con insulti e sicuramente senza esclusione di colpi.

La nuova vita di Dell’Utri, che a Parma ha fatto il bibliotecario del carcere rimettendo in ordine i libri che prima giacevano negli scatoloni, è tutta all’insegna delle battaglie per una giustizia giusta. E contro quella ingiusta, lui che se ne considera vittima. L’uomo parla con una dignità da filosofo, e non solo nel senso di colui che ha “preso con filosofia”, cioè si è rassegnato a subire, una condanna per conto terzi. Non avendo potuto incastrare per mafia Silvio Berlusconi, si sono accontentati di condannare lui in via definitiva. Con gli stessi labili indizi per i quali il suo ex principale fu invece prosciolto in istruttoria. Dell’Utri non solo ha aperto gli occhi, attraverso le orecchie, agli ascoltatori di Radio radicale su teoria e prassi del carcere, cioè la rieducazione come mera espressione vocale, la punizione come unico credo e il tentativo di distruggere l’individuo come unica finalità del carcere. Che ormai viene perpetrata quasi in automatico.

Ma Dell’Utri ha tentato di far aprire gli occhi anche ai congressisti: ciò che dicono Turco, Bernardini e D’Elia a proposito della non partecipazione alle elezioni nel solco dell’ortodossia pannelliana del transpartito è giusto, purché non si resti fuori a vita dai Parlamenti italiani ed europei. È giusto non inseguire Renzi e tantomeno D’Alema, come diceva Turco nella propria relazione, ed è sacrosanto ostacolare il tentativo di Emma Bonino di ritagliare, ora che Marco è “compresente”, il partito a propria immagine e somiglianza. Che poi è quella di una militante del jet set, una che si è trasformata da radicale in radical chic, sempre pronta ad aggregarsi alla fondazione di turno, di Enrico Letta o di Giuliano Amato, con la prospettiva di guidare il partito che fu di Marco Pannella al destino di un cespuglio in salsa laica o laicista che dir si voglia.

È però sacrosanto anche il grido di dolore, per usare le parole che furono di Carlo Alberto all’epoca della lotta risorgimentale, che viene da tante parti laiche dell’Italia che reclamano da decenni un partito liberale di massa, che riporti l’Italia ai tempi in cui la Lira, e non l’Euro, faceva aggio sull’oro... È la destra storica di cui proprio Pannella parlava tanto nelle sue indimenticabili e assai rimpiante trasmissioni domenicali con Massimo Bordin a Radio radicale. Ecco, dice Dell’Utri tra le righe, non disperdiamo questa voce, non parliamo da soli tra radicali.

@buffadimitri

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59