Referendum, D’Alema e l’identità del Pd

Il referendum sulla Costituzione si gioca, è più che evidente, sulla contrapposizione politica tra gli schieramenti e all’interno del Partito Democratico, piuttosto che sui contenuti della riforma. Dentro il Pd è il pretesto per un regolamento di conti. Del resto, la trasformazione del Senato e la revisione del Titolo V interessa una fascia di elettori molto piccola, mentre il futuro del Pd, la sorte di Matteo Renzi e del suo Governo, appassiona.

La prova più evidente di questa misera constatazione è data dalla posizione assunta da Massimo D’Alema che, nel guidare il fronte dei “Comitati del No”, interni al Partito Democratico, personifica l’antirenzismo. Hai voglia a negare l’inesistenza di personalismi. I fatti attestano che, se D’Alema guardasse ai contenuti della riforma, per coerenza dovrebbe schierarsi per il “Sì”. Perché? Perché “carta canta”.

Nella XIII Legislatura, la Commissione bicamerale sulle riforme costituzionali presieduta proprio da Massimo D’Alema, chiudeva i lavori con una serie di documenti che tracciavano le linee della riforma. Una delle relazioni, quella redatta dalla senatrice Marida Dentamaro, esordiva così: “Le coordinate di riferimento del nuovo testo sono note: un sistema di democrazia dell’alternanza fortemente orientato in senso maggioritario, in cui l’asse dell’equilibrio istituzionale si sposta in favore di un Governo più forte, stabile ed efficiente nel decidere e nell’agire”.

Ma non è lo stesso fine dichiarato dal progetto Boschi-Renzi? Cambia il metodo. L’iniziativa l’ha assunta il Governo. Alla fine è stata votata solo dalla maggioranza di Governo, ma i fini sono gli stessi. D’Alema lamenta che la riforma riduce i margini di democrazia, ma il rafforzamento del ruolo del Governo proposto dalla Boschi è molto più blando dell’irrobustimento che attuava la Bicamerale D’Alema. Anzi, la riforma odierna non si occupa proprio del Governo.

Nel 1997 la Bicamerale si proponeva di trasformare il sistema parlamentare in un governo semipresidenziale. Introduceva l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, riconosceva al Presidente del Consiglio il ruolo di Primo Ministro con poteri di nomina e revoca dei ministri, prevedeva l’assenza del voto di fiducia iniziale, lo scioglimento anticipato delle Camere senza controfirma, il voto in data certa per i disegni di legge del Governo.

Niente di tutto questo è previsto dalla riforma Renzi-Boschi, se non il “voto certo” per i disegni di legge inseriti nel programma di governo. Per questo, il paventato rischio della diminuzione degli spazi di democrazia pare del tutto incoerente. Incoerenti del resto sono gran parte delle posizioni assunte dai diversi partiti, che si sono schierati inseguendo unicamente la linea del “sostegno-opposizione” a Renzi. La particolarità assoluta sta tuttavia nel fatto che il fronte dell’opposizione al Governo si è arricchito dello schieramento del “No” di D’Alema, in nome e per conto di un pezzo della sinistra Pd.

Questo scontro è, alla fin fine, la vera essenza politica del prossimo referendum. Al di là dell’ovvia considerazione che il “Sì” rafforzerebbe il Governo, mentre il “No” lo indebolirebbe fino a comprometterne la sopravvivenza, il vero rebus della partita sta nell’andare a vedere quale anima del Pd risulterà vincente in questo scontro di famiglia. La questione non è di poco conto perché riguarda tutti, cioè il futuro del sistema politico italiano. Dentro la spaccatura interna al Pd non c’è soltanto un conflitto generazionale, ma la contrapposizione di due concezioni identitarie del partito molto diverse tra loro. Il “Sì” rafforzerebbe il progetto del “Partito della Nazione”. Il “No” riporterebbe il Partito Democratico nel solco delle ambiguità identitarie proprie dei partiti che non hanno rinnegato le antiche origini. D’Alema fa intendere che i temi istituzionali si possono maneggiare con totale duttilità, in funzione delle esigenze contingenti della competizione. In questo modo, a rimetterci non è soltanto la sua personale coerenza politica, ma la stessa cultura istituzionale del Partito Democratico, l’immagine dell’Italia, che manifesta, fuori dai confini, l’innata capacità di assumere decisioni incoerenti con gli impegni di ammodernamento delle istituzioni che l’Era della globalizzazione richiederebbe.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00