Parisi e un manifesto manuale contro il No

“C’è una cultura tetra, negativa, tenebrosa, dietro il no alle Olimpiadi ufficializzato dal M5S”. È l’incipit di Stefano Parisi su “Il Foglio” la cui lettura, in parallelo a quella de “il Giornale” dello stesso giorno sempre con Parisi incombente - ma non parlante - sollecita interrogativi birichini, sia pur en passant.

Pensavo, infatti, se qualcuno di quei criticoni così timorosi della new entry arcoriana con vaghi cenni a giuramenti di fedeltà e antichità d’iscrizione, anche a Forza Italia, si siano mai chiesti che ruolo abbiano giocato loro proprio in tema di fedeltà al nuovo spirito liberal-riformatore di quel partito inventato dal genio arcoriano? In altri termini: quanto ci hanno messo di loro a far perdere per strada una decina di milioni di voti a quel partito avendo ora la faccia tosta di applicarne ad altri il rito dall’antichità dell’iscrizione come passepartout carrieristico? E meno male che il Cavaliere, con una salto in lungo metaforico, ha scavalcato simili facezie con quello speciale battesimo di Parisi per fare scouting (speriamo nella Big Society ché quella civile porta iella solo a nominarla) onde scovare “volti nuovi”, alla faccia, si presume, di quelli vecchi, cioè sempre “loro”.

Scherzi del destino, chissà. Ad ogni buon conto, consigliamo sempre a loro (e un po’ anche al Cavaliere) di andare avanti nella lettura del Parisi-pensiero a proposito del “No” alle Olimpiadi e, per converso, al sì che Milano avrebbe accolto sol che si pensi alla splendida realizzazione dell’Expo che ebbe addirittura il sì iniziale di Letizia Moratti (FI), del governo nazionale di centrosinistra, poi di Giuliano Pisapia sindaco (Sinistra) e di Beppe Sala, ora sindaco ma “morattiano” gestore di successo dell’Expo. Non confondano i passaggi e le sigle. Quello che conta è il risultato. E lo conferma Parisi in una sorta di chiacchierata-manifesto che sembra in superficie il ritorno del sempre uguale conflitto da campanile fra Milano e Roma, ma in realtà finisce col diventare una specie di orgogliosa sfida, più che alla Capitale, alla predominante anticultura dell’antipolitica, emblematizzata proprio dal “No” di Virginia Raggi in quanto testimonianza di una sconfitta in partenza proprio perché non ha accettato la sfida delle Olimpiadi del 2024.

Mi sembra questo il dato per così dire “ideologico” del ragionamento parisiano, non tanto o soltanto perché il sì avrebbe catapultato la Capitale verso il futuro e non verso il passato o perché “non si è onesti tenendo le mani in tasca, ma si è onesti solo usando le mani per lavorare bene”, ma anche e soprattutto perché quel no esprime una cultura anticapitalista, ci riproietta nella stagnazione di un’Italia dominata da burocrazie irriformabili, da antipolitici grillotipici esaltanti il vezzo dei sussidi di Stato denegando la cultura d’impresa in nome di un megafono pessimista come strumento per tenere in piedi proprio quel sistema che da anni blocca il Paese.

“È un’Italia (quella nella testa, per ora, del Movimento 5 Stelle) che vuole bloccare il progresso e che preferisce un reddito di cittadinanza piuttosto che investire nel futuro. È un’Italia non antisistema ma perfettamente in sintonia con un sistema che da anni tiene il Paese in ostaggio e contro il quale giustamente Silvio Berlusconi ha combattuto per una vita. È l’Italia dei cavilli, l’Italia leguleia, l’Italia immobile, l’Italia antimanageriale, l’Italia che per nascondere la sua incapacità di decidere o dice di no o scarica i suoi problemi affidandosi ai magistrati”. Siamo arrivati al nocciolo di una questione che riguarda il no di una sindaca che non si è resa conto, ma non le mancherà il tempo per ricredersi, che le occasioni perse non si ripresentano, specialmente se il raffronto fra il sì dell’Expo ha significato per Milano la ridisegnazione di una skyline simbolica, a un tempo, di modernità e di continuità a fronte delle sfide che ci aspettano. Non a caso la ripresa del tema di una milanesità del fare, del pragmatismo e del confronto a livello internazionale s’intreccia con una visione liberale e riformista che ispirò il berlusconismo delle origini. E che oggi nel manifesto, ma è meglio definirlo manuale, di Stefano Parisi, il tema del “grillismo che non si deve inseguire ma contrastare” si sposa con la promessa delle “energie nuove messe in circolo in questi giorni nel nostro perimetro di azione e che mi fanno essere ottimista sul domani... Si è ricominciato a discutere di futuro e si è iniziato a ragionare senza schermi ideologici su come rigenerarci”. Ma avverte: “State attenti agli inesperti, diffidate degli incapaci, combattete quelli che sono abili soltanto a trasformare la loro incompetenza in vittimismo”, e “in molti stanno incredibilmente cadendo in questo trabocchetto”.

O ci sono già caduti, come a Roma.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:01