Rai: antipolitica,  uomo solo al comando

Premesso che mi è simpatico Maurizio Gasparri anche quando polemizza (garbatamente) sui soliti problemi della Rai di oggi, ed io avrei qualcosa da replicare alla sua polemica con Maurizio Crippa, ciò premesso, faccio subito un passo indietro fino giù a Palermo. Perché Palermo? Che c’entra con la Rai? C’entra, c’entra. Innanzitutto perché la Rai è sempre la Rai, e proprio giù a Palermo con la kermesse di Beppe Grillo, ma anche perché il Servizio pubblico radiotelevisivo è una magna pars del sistema mediatico italiano. Sistema che è stato bastonato dai partecipanti a quella festa (si fa per dire) come nel “Don Giovanni” si bastonano gli immancabili servi in scena. Ma in teatro, sul palcoscenico, nella finzione, non in piazza con spintoni, slogan sui servetti del potere, burattini pseudo giornalisti, bugiardi, servi castali. “Servi”, insieme a “casta” è stato il termine più usato da certi grillini, e anche dal “Big Boss”, contro i giornalisti, gli addetti alla comunicazione e informazione. Pur non citata, anche la Rai, dunque, è alla sbarra nel processo in piazza insieme a quegli inviati per i quali l’ineffabile grazia grillina da blog (per ora) ha stabilito il premio di “giornalista del giorno” in cui l’indicazione del nome è di per sé un grazioso assist all’intimidazione. Non siamo al manzoniano “dalli all’untore” ma poco ci manca.

L’arma vincente grillina è stata ed è l’antipolitica, l’odio per i partiti (degli altri, si capisce), il disprezzo, il j’accuse giustizialista e giacobino (da strapazzo). L’arma, agli inizi, si risolveva ideologicamente nell’urlo onnicomprensivo del “vaffanculo” la cui violenta e disgustosa diffusione è stata molto spesso applaudita da non pochi addetti all’informazione, contagiati dal virus dell’antipolitica ma pur sempre, ma solo in teoria, obbligati a separare i fatti dalle opinioni. Specialmente quando “vaffanculo” è un fatto non più una parola, altrimenti che “addetti” sono? All’informazione? Ne dubito. Non più dunque e soltanto il leitmotiv dell’indicibile vaffa contro la politica (tutta) corrotta, infame, indegna, vergognosa, ma l’inclusione nel disprezzo dei giornalisti accomunati ai politici in un’unica dimensione castale e spregevole, sperando di prendere due piccioni con una fava. E forse ce la faranno, i grillini impegnati ora a darsi uno statuto che ricorda, da un lato le piramidi coi sacrifici umani degli Aztechi, dall’altro il verticismo piramidale di Stalin, anche lui, come altri dittatori, maestro ed esperto di sacrifici umani, oltre che politici. Politici perché allorquando il meccanismo di controllo, di espulsioni, di sospensioni, ecc. è attribuito a uno, il pericolo del “potere” ad uno solo diventa una certezza.

Questa lunga premessa - chiedo venia - oltre che ai lettori, allo stesso Gasparri che è stato un bravo ministro la cui riforma Rai è tuttora in vigore, e dunque funziona-serve per inserirmi nella polemica con “Il Foglio” sollevata a proposito del ruolo del direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, i cui strapoteri, a quanto pare, mettono in ombra se non in pericolo il necessario pluralismo della Rai come si diceva e scriveva: “da sottrarre alla partitocrazia, alla lottizzazione, alla politica”. E qui bisognerebbe fare uno sforzo di chiarezza e, perché no, di autocritica, soprattutto di anti ipocrisia. Intanto, nella Rai di oggi i poteri sono stati sottratti drasticamente soltanto al Consiglio di amministrazione, la cui impressionante riduzione di ruolo, in tutte le grandi aziende indispensabile, è stata in larga misura agevolata dal falso moralismo del leitmotiv dell’antipartitocrazia, e giustificata sia dipingendo un’azienda come un vasto ricettacolo di raccomandati dalla politica, sia - soprattutto - sottraendola ad una guida plurale, a cominciare proprio dal Cda, che è comunque una garanzia di pluralismo.

Ma per quale ragione si deve continuare a considerare i partiti una fogna? Autolesionismo? Complesso di colpa? Le battaglie contro la italian way alla lottizzazione, che c’è da sempre e sempre ci sarà, si è risolta, con buona pace dei moralisti un tanto al chilo, con “tutto il potere” al Direttore generale inteso come angelo sterminatore della maledetta partitocrazia. Angelo o diavolo o uomo di Renzi? Fate voi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03