Quei discorsi “a Pera”

Francamente credevo che la “moderazione” di Silvio Berlusconi e di Forza Italia (con le meritorie eccezioni) nella scelta e nella campagna per il “No” dipendesse da ben altre forme di pressione e da complessi e sindromi più seri. Assai meno autorevoli e presentabili, meno paludati ma anche meno facilmente eludibili...

E invece, forse perché anche per il pressing su Berlusconi e Forza Italia quelli del “Sì” sono al lumicino, vien fuori che Claudio Cerasa, per fare appello alla “cultura profondamente nazarenica” (sua è l’espressione) attribuita al Cavaliere, tira fuori nientemeno che Marcello Pera, filosofo di eccelse frequentazioni (di assai vaghi orizzonti del sapere e della ragione e di indiscutibile e mai venuta meno inconcludenza politica).

Così su “Il Foglio” del 27 settembre appare come “Appello contro il suicidio della destra”, una chiacchierata strappalacrime del filosofo liberal-clericale, che fu elevato da Berlusconi alla seconda carica dello Stato, che comincia: “Caro Berlusconi, ti voglio bene...”. Il resto era già noto: quello che aveva detto e scritto Cerasa. Che fosse stato Pera a reggergli la penna?

Questo tono affettuoso, questa esortazione a fuggire dal suicidio, contiene, in realtà, un vero e proprio invito al suicidio politico di Berlusconi. È un invito esplicito al suicidio mediante dissoluzione nel ridicolo: “Caro Silvio, ripensaci...”. Già: ad un leader politico nel mezzo di una battaglia in cui, bene o male, è formalmente impegnato, dire “ripensaci, cambia fronte” è o uno sfottò o un cosciente (?) invito al suicidio. Per fortuna, per sedurre Berlusconi usa espressioni che al Cavaliere debbono essere come il fumo agli occhi: “... Arrivati ad una certa età, e noi quell’età l’abbiamo raggiunta (!?) non possiamo più raccontare troppe frottole e dobbiamo dire le cose come stanno”. Io che non sono né un filosofo né un amico di pontefici e che quell’età l’ho raggiunta, vissuta, superata da tempo, forse perché ho conosciuto Pera quando ancora l’età gli consentiva di “raccontare troppe frottole” non posso fare a meno, ogni volta che ne emerge dalla nebbia la figura (o l’ectoplasma) di pensare a quel che fa e dice come ai “ragionamenti a Pera”. “A pera” a Roma è una forma più castigata di quella abituale e corrente per dire “a vanvera”.

E poi c’è un episodio molto personale, ma molto significativo. Non avevo ancora “scoperto” Bonfirraro e avendo in corso la scrittura del libro “Nelle mani dei pentiti” mi capitò di parlarne con Marcello Dell’Utri, che se ne entusiasmò e mi promise di ottenerne la pubblicazione con Mondadori. Poi cominciò il calvario della persecuzione giudiziaria e, molto francamente, Dell’Utri mi disse di non potersene più occupare, ma di aver ottenuto che se ne interessasse Marcello Pera, all’epoca responsabile del settore giustizia di Forza Italia, cui passò il manoscritto. Dopo qualche tempo mi pervenne una imbarazzata lettera di Pera con la copia di quella del direttore del settore libri della Mondadori, che chiudeva la porta in faccia ad ipotesi di pubblicazione di libri consimili.

Ricorsi ad altro meno ritroso ma anche molto “invisibile” editore che stampò magnificamente il libro e, praticamente, non lo distribuì, ma organizzò una gran bella presentazione. Ritenni doveroso rivolgermi a Pera perché lo presentasse (ne aveva letto il manoscritto) insieme all’amico Lino Jannuzzi. In una sala gremita in un albergo di Via Veneto, Pera prese per primo la parola iniziando così: “Adesso che abbiamo risolto il problema dei pentiti...”. Allibii, mentre un mormorio serpeggiava per la sala. Guardai Lino che con un’espressione indescrivibile del volto mi fece capire: “Che vuoi... questo è l’uomo”. Da allora, appunto, i “discorsi a Pera” non mi hanno più sorpreso. Nemmeno l’invito al suicidio di Berlusconi mediante annegamento in un pozzo di ridicolo.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:37