L’errore di Scalfari   e quelli del Premier

Premetto che l’argomento non è questo tipo di “lettera non spedita” a “la Repubblica” a proposito di un errore di Eugenio Scalfari nella sua lunga testimonianza su Silvio Berlusconi “en privée”, visto da vicino. Ripiego sul nostro giornale, si parva licet, e chiedendone venia al direttore per un mio “coté” personale, perché, appunto, l’argomento è, diciamo così più vasto, ancorché l’errore - pur piccolo - scalfariano ne sia una limitatissima fetta. Che però serve a completare il quadro. Scalfari tratta il “suo” Berlusconi ottantenne riferendosi a quello degli anni Ottanta, con la sua amicizia con Bettino Craxi, Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani, il “Caf” sinonimo di quel decennio che per molti professionisti dell’approfondimento da sinistra è emblematizzato spregiativamente nello slogan “Milano da bere”. Milano la città di Craxi e di Berlusconi. Ma è proprio sulla “Milano da bere” che casca l’Eugenio. Con un errore da matita blu sia pure originato dalla pulsione irrefrenabile di fare del Cavaliere un creatore per antonomasia e dunque - anche e soprattutto - di uno slogan tramutatosi, negli anni Novanta, nel suo negativo opposto, ma ad opera e ad usum delphini, che sono poi quelli della gioiosa macchina da guerra, sbaragliati dal Cavaliere che, dopo la tv privata, bella e a gratis, ha inventato di sana pianta, e lo racconta ancora Scalfari, quella Forza Italia che li ha messi al tappeto.

Berlusconi ha inventato tante cose. Ma lo slogan-spot “Milano da bere” no, non l’ha inventato lui ma il grandissimo Marco Mignani per l’aperitivo “Ramazzotti”. Il punto vero, e poi parliamo d’altro, è che quello spot, come ha raccontato il suo vero creatore in interviste, libri e anche al sottoscritto, invitava a gustare un Ramazzotti col mito dell’aperitivo inteso a Milano come il rito da celebrare dopo una giornata di lavoro. Celebrazione di un rito e di una città, e l’ispirazione al suo inventore era nata osservando i lavori della Linea M3 metropolitana che attraversava tutta Milano da nord a sud passando per il centro con sopra un enorme cartello: la Linea M3 avanza, e avanzava davvero, laggiù in fondo in fondo, e si vedevano gli operai in tuta gialla (la linea era gialla da non confondere con la M1 rossa e la M2 verde). Festeggiava una promessa mantenuta e il lavoro, ma poi il meritato riposo con l’aperitivo e, per finire, la cena con la rucola dei due innamorati. Celebrava una città dinamica, operosa, efficiente, percorsa da euforia e ottimismo: la Milano degli anni Ottanta. Che poi ne sia stato capovolto letteralmente il significato è stata un’altra operazione pubblicitaria-politica-giustizialista di segno negativo, di disprezzo, di condanna irrevocabile. Ma mi fermo qui.

Milano è pur sempre quella dello spot, anche e soprattutto osservandone le frequenti visite del Premier con le sue altisonanti promesse che hanno una vaga somiglianza con il Cavaliere a riposo ad Arcore, così vicina a Milano da far sussurrare - e non soltanto dallo scatenato Marco Travaglio del “No” (a Matteo Renzi, ovviamente) - un avvicinamento, se non alla “reggia arcoriana”, all’elettorato berlusconiano, auspice lo spirito del Nazareno. A differenza dell’avanzamento visibile e comprovato della Linea M3, non lo è del tutto il percorso renziano, sia pure a piccoli passi, anche televisivi come nel format di Paolo Del Debbio. Ma è indubbio che l’attenzione di Renzi per il popolo di Forza Italia e del centrodestra è viva, vivissima. Sarà la paura della vittoria del “No”, sarà un residuo di spirito nazarenico, sarà un pensierino al dopo, sarà quel che sarà, ma il Premier è in un certo senso costretto a guardare a un centrodestra nel quale, a parere di non pochi analisti, il no prevale ma non così trionfalmente, sullo sfondo sia di un’astensione comunque lavorabile, sia - purtroppo per il Premier - di un Movimento 5 Stelle ipotizzato come vero vincitore politico, e di una sinistra del no che ha proprio nel partito di cui è segretario, il suo più accanito avversario. E vai allora con una campagna elettorale sempre più di corsa, loquace, presenzialista, scatenata.

E che altro dovrebbe fare un Premier di poco più di quarant’anni che potrebbe, anzi potrà, essere mandato a casa, in pensione, dalla vittoria del “No”? Certo, adesso ha messo le mani avanti dopo le autentiche smargiassate che hanno personalizzato il referendum, ma forse è un po’ tardi e non molto credibile, giacché solo col sì vincente è sicuro di continuare a stare sulla poltrona dopo averci collocato sotto, con le proprie mani, una mina a tempo. E si culla nelle illusioni se pensa di potenziare la sua campagna elettorale con promesse e annunci sempre più altisonanti, eclatanti, irrefrenabili. Esempio, per ultimo ma non ultimo: il Ponte sullo Stretto. Fra Scilla e Cariddi! Ma chi glielo fa fare? Soprattutto chi gliel’ha inventato questo spot con una promessa che sa di non mantenere? E poi dicono della Milano da bere. Ma mi faccia il piacere! (Totò)

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:02