Referendum e politica

Ci sono due fronti e tre schieramenti che si fronteggiano nella campagna sul referendum. I fronti sono due, quello del “Sì” e quello del “No”. Ma gli schieramenti sono tre, o quattro, perché accanto a chi motiva le proprie scelte sui temi della riforma c’è chi fa campagna per il “No” solo per contrastare Matteo Renzi. In questo terzo fronte si distinguono, a sua volta, due distinte sottospecie di oppositori: chi osteggia Renzi in quanto capo del Governo e chi lo osteggia in quanto segretario del Partito Democratico.

Il quadro che ne esce è avvilente. Il thema decidendum va in soffitta e resta solo il pretesto per uno scontro di altra natura. Del resto, la partita si gioca su un altro terreno, quello della politica politicante. È come se si giocasse una partita di football in un campo da golf. Le regole sono quelle dello scontro a due, ma le squadre che si contendono la partita sono più di due. Ognuna gioca per sé, anche se, alla fine, conterà la somma totale delle palle dello stesso colore, a prescindere dalle ragioni che hanno tenuto unito i fronti, soprattutto quello del “No”.

Piaccia o non piaccia queste sono le dinamiche della democrazia diretta, dove i voti si contano e basta. Possono essere il frutto delle più diverse motivazioni. Ognuno gli può dare il senso che vuole. Ci possono essere chi vota sulla riforma o sui suoi promotori. Sul governo o contro il governo. Per o contro il segretario del suo partito. Alla fine, vince chi prende più voti, senza la possibilità di fare ulteriori sottili distinzioni.

Considerato che ormai il referendum ha prevalentemente natura politica, mettiamo da parte le raccomandazioni di Sergio Mattarella e mettiamola in politica. Da una parte i contendenti sono Matteo Renzi e Angelino Alfano, e i poteri forti, si dice. Dall’altra, c’è Massimo D’Alema innanzitutto, Bersani, Cuperlo e Speranza, poi Beppe Grillo e i suoi, Salvini e Meloni, Forza Italia, la Cgil di Susanna Camusso, la Fiom di Landini, l’Anpi di Smuraglia, Pancho Pardi, alcune correnti della magistratura. Se vince il “Sì”, il dopo referendum lo conosciamo: ci sarà l’incoronazione di Renzi. In caso di vittoria del “No”? Considerato che la caduta del Governo Renzi, se non immediata sarà comunque obbligata, è di un certo interesse prefigurare le conseguenze dell’esito del voto sul sistema politico italiano e dei partiti. I benefici di cui godrà la minoranza interna del Pd sono fin troppo evidenti. D’Alema e Bersani potranno ridare colore alla sinistra. Il rottamatore dovrà prendere atto del fallimento della propria ambizione di costruire il “Partito della Nazione”. Il Pd tornerà ad essere quello di prima, il partito della Cgil e dell’Anpi. Il sistema politico, nel suo insieme, dovrà prendere atto di questo ritorno al passato, per effetto di un esito referendario giocato in chiave di competizione “congressuale”.

Camusso, Landini, Smuraglia e alcune correnti della magistratura giocano una partita diversa. Sono lo schieramento più coerente sui temi del referendum. A loro piace lo status quo, la Costituzione vigente, quella del 1948: la centralità del Parlamento, la debolezza dei governi, la consociazione, il potere di veto dei partiti e dei sindacati, dei poteri contrapposti. Ma, sul resto dello scacchiere partitico, cui prodest la vittoria del No, tra Forza Italia, Salvini, Meloni e il Movimento Cinque Stelle? Fanno bene Salvini e la Meloni a dirla chiara e tonda. A loro interessa la testa di Renzi e la caduta del Governo. Silvio Berlusconi tace, palesemente in imbarazzo, dopo aver detto che Renzi in due anni di governo ha ottenuto quello che lui non è riuscito a conquistare in vent’anni. E poi, è vero quello che dice beffardamente D’Alema: per tre quarti la riforma del 2016 ricalca quella del tandem Berlusconi-Calderoli del 2006. Ma Berlusconi ha soprattutto chiara una cosa. La vittoria del “No” sarebbe la vittoria di Grillo e del Movimento 5 Stelle, che incasserebbe il risultato politicamente più remunerativo. Poco importa che si tratti di un “No” a difesa della intoccabilità della Costituzione più nobilmente partitocratica del mondo. Quello che conta è la rimozione di Renzi: l’unica “novità” che la nomenklatura partitocratica è stata in grado di subire in settant’anni.

Le destre e le sinistre europee hanno ben chiaro che l’obiettivo dei “populisti” non è la destra o la sinistra, ma il sistema politico nel suo insieme. Quello che ostacola il cambiamento è infatti il principio dell’alternanza destra-sinistra, quel principio in base al quale l’Europa è stata governata finora, da destra oppure da sinistra. Per questo il “No” di Beppe Grillo, ovunque, in occasione del referendum, come nel condurre l’opposizione al governo, o negli enti locali, è sempre “No”, a prescindere. Arriveremo al referendum del 4 dicembre con lo sguardo al domani. Bisognerebbe guardare un po’ più in là. Ragionevolezza vorrebbe che destra e sinistra, invece di continuare a ragionare con le categorie del Novecento, guardassero fuori dai confini nazionali. Francia, Germania e Gran Bretagna, ma anche la Spagna, affrontano i movimenti populisti con un’altra lungimiranza.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:40