Il referendum di Montecassino e il soldato Parisi

Elmetti, baionette al sole e mezzi corazzati in movimento. Il mese e mezzo che ci separa dal referendum costituzionale ci restituisce, per toni e mezzi messi in campo, un’immagine bellica. Ci viene allora facile vedere in Matteo Renzi un Hitler ormai obnubilato dalle droghe somministrategli dai suoi scienziati. Hitler le pasticche, Renzi i pasticci. Hitler aveva il medico Theodor Morell, Renzi ha uno stuolo di consulenti capeggiati da Jim Messina per soddisfare il suo Io. Il re è nudo, ma i sarti continuano a tessere con fili di nulla.

Hitler si era arroccato oltre la Linea Gustav (che andava dal Golfo di Gaeta, sul Tirreno, ad Ortona sull’Adriatico e di cui Montecassino era il monte che dominava il vallo dal quale sfondare la Linea e raggiungere Roma), Renzi su quella dell’Arno. Con il cerchio magico renziano che, ci raccontano le cronache degli ultimi mesi, si sarebbe allargato ai Servizi segreti e alle forze dell’ordine per spiare i nemici. Io credo, soprattutto, gli amici.

Il regime inizia ad andare in pezzi; i vecchi generali come D’Alema e Bersani, che pure non hanno brillato per eccelse capacità governative, hanno capito che il ducetto, cresciuto tra le divise di Sir Robert Stephenson Smyth Lord Baden-Powell (il fondatore dei boy scout) li trascinerà con sé nella parte buia della Storia. Quella attraversata da figure grigie che sono ricordate più che per i meriti per quello che non hanno fatto e che avrebbero potuto fare. Accanto a lui gli ascari, i mercenari della politica. Quelli con lo stomaco geneticamente modificato per digerire ogni ordine impartito contro il proprio popolo. Come il “fresco di lavanderia” ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che ha permesso all’Europa di confinare in Italia una massa enorme di migranti e che in Sicilia, come a Roma, sostiene il peggior governo mai eletto, pro domo sua. Nel senso letterale del termine.

Il centrodestra, invece, non deve commettere gli errori commessi dagli Alleati. Non può distruggere indiscriminatamente i propri palazzi, così come non può rimanere ancorato ai vecchi gerarchi per tracciare vie nuove. Si deve salvaguardare il meglio e puntare all’ottimo, scegliendo tra chi ha forze nuove da mettere a disposizione della causa. Certo molti passeranno nelle retrovie, ma ciò non dovrà essere inteso come un abbandono, un torto. Piuttosto come un ricambio con forze fresche, supportate dall’esperienza dei veterani. Tutti quindi dovranno avere il dovere morale di partecipare alla ricostruzione del centrodestra senza avere bramosia di poltrone. Il più grande dei mali dell’italica politica.

Il referendum costituzionale dunque non deve essere strumento di rinascita per il centrodestra, bensì occasione. Se fosse strumento ci sarebbero le lotte intestine, per contarsi alle urne e usare quei risultati quali segnali di una supposta potenza di fuoco per le prossime elezioni. È occasione perché ci costringe a ragionare alto, sui princìpi costituzionali, a recuperare i valori fondanti. Perché quando una società e un’economia soffrono, come attualmente quella italiana e occidentale in generale, è il “capitale dei valori” a tenere coesa una nazione ed a permettergli di ripartire al meglio. Non c’è ricetta economica o elettorale che possa competere con l’unità valoriale. D’altronde è ciò che taluni invidiano a democrazie come quella inglese o tedesca. “Quando c’è da difendere la loro patria sono uniti”, dicono. In Italia, invece, un attimo prima sono ministri di un governo, presidenti della Camera o capi dello Stato e un attimo dopo sono a brigare con intelligenze straniere pur di prendere il potere. E il Paese vada pure a rotoli. Tre governi senza un presidente del Consiglio che si sia presentato agli elettori, un presidente della Repubblica eletto due volte e autore delle riforme costituzionali, parte del sistema bancario malato salvato con il sudore dei lavoratori.

Stefano Parisi ha le forze fresche per affrontare le battaglie politiche che ci aspettano, per salvaguardare il Paese dalle iene che gli girano intorno, alla classe politica e al popolo del centrodestra spetta invece di implementare un sano spirito di appartenenza. La rinascita del centrodestra deve essere un’opera corale, non l’esibizione di un solista.

Vi lascio con un aforisma di Sun Tzu di antica saggezza: “La vittoria si ottiene quando i superiori e gli inferiori sono animati dallo stesso spirito”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:01