Se l’Unione europea non capisce i paradossi

L’Europa deciderà dopo il voto del 4 dicembre sulla lettera di contestazioni all’Italia per gli eccessi di spesa previsti dalla Legge di stabilità. In apparenza la scelta di Bruxelles sembra un atto di cortese sostegno a Matteo Renzi da collocare sulla scia dell’aiuto già incassato dal Premier italiano da parte del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e della Cancelliera tedesca Angela Merkel. Più che un atto di cortesia diretto a togliere dalla polemica politica italiana la censura della Ue per le mance elettorali del Governo Renzi, però, il gesto dell’Europa è un segnale di scarsa capacità di analisi politica.

I dirigenti europei, così come quelli statunitensi, sono convinti che la stabilità del nostro Paese si garantisce aiutando il “Sì” a prevalere sul “No” nel referendum sulla riforma costituzionale. Per questo sono schierati dalla parte di Renzi anche quando non riescono a nascondere l’imbarazzo e la sfiducia per un personaggio considerato, nella migliore delle ipotesi, decisamente folkloristico.

Ciò che questi dirigenti non riescono a comprendere, però, è che la loro analisi può essere fondata solo a condizione che il “Sì” stravinca in maniera plebiscitaria e Renzi possa andare ad elezioni anticipate per liquidare una volta per tutte la dissidenza presente nel Partito Democratico e diventare, grazie all’intreccio perverso tra riforma della Costituzione ed Italicum, il padrone incontrastato del nostro Paese.

Ma che succede se il “Sì” dovesse vincere con un vantaggio esiguo e se dal referendum uscisse, come sembra assolutamente possibile, l’immagine di una società italiana sostanzialmente spaccata a metà? I dirigente europei e quelli americani non prendono in considerazione questa ipotesi trincerandosi dietro il loro rifiuto di entrare nei meandri dei bizantinismi politici italiani. Ma di bizantino nell’interrogativo e nella risposta non c’è assolutamente nulla. C’è solo la banale considerazione che in caso di vittoria di un soffio del “Sì” Renzi non potrebbe andare ad elezioni anticipate con il rischio altissimo di essere sconfitto dai Cinque Stelle e che, dal 4 dicembre alla scadenza naturale della legislatura, la dissidenza del Pd sarebbe costretta ad uscire dal partito per garantirsi la sopravvivenza in un altro contenitore politico. In questo scenario Renzi rimarrebbe a Palazzo Chigi per altri quindici mesi. Ma in una condizione di estrema debolezza e nelle mani di quei trasformisti del centrodestra che gli hanno consentito di governare e che avrebbero tutto l’interesse a separarlo dalla sinistra secessionista e da una parte dell’elettorato del Pd.

I dirigenti europei ed americani non capiscono che la vittoria del “Sì” è destinata a segnare la spaccatura del Pd e l’indebolimento di Renzi. Il paradosso è che per una maggiore stabilità dovrebbe sostenere il “No”. Ma i paradossi non li comprendono!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:04