Il referendum 2016,  il terremoto di Messina

Matteo Renzi ormai è preoccupato soltanto dal terremoto di Messina. Non si pensi che ciò abbia a che fare con il sud, con il Mezzogiorno. Stiamo parlando di Jim Messina, il suo consigliere per la comunicazione che avrebbe dovuto portarlo al successo nel voto referendario.

Renzi, preoccupato soltanto dal crollo della sua immagine e del suo peso politico, ha annunciato le dimissioni abbandonando la nave con la tempesta sulle banche in arrivo e con la Legge di Bilancio, che scarica sui prossimi governi i debiti fatti per le mance pre e post referendum, ancora da votare. A tamponare l’emorragia ci ha pensato il buon senso del capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ha costretto il giovane e rampante presidente del Consiglio dei ministri a rispettare i suoi obblighi istituzionali.

I cittadini che hanno subìto gli ultimi veri, devastanti terremoti lo hanno bocciato alle urne e così ha fatto in massa il Sud Italia. Non hanno creduto alle bufale propagate a mezzo stampa. Per esempio ad Agrigento, città natale del ministro dell’Interno Angelino Alfano, il “No” ha superato il 74 per cento dei consensi. Così come in casa ha perso anche la ministra Maria Elena Boschi. I personaggi in cerca d’autore della compagine renziana non abbindolano più nessuno. È inutile che si cerchi di spiegare la sconfitta unicamente con la bocciatura del testo di riforma o come se gli elettori avessero scelto esclusivamente secondo l’appartenenza partitica. Nel Sud Italia ha pesato molto di più l’asfittica situazione economico-sociale. Un territorio provato dalla lunga crisi economica, sfiancato dalla folle politica dei tagli al welfare dei Governi “imposti” da Giorgio Napolitano. Lo sappiamo, JP Morgan lamentava che l’Italia fosse ancora troppo socialista. Ignorare le cure per i bambini avvelenati dall’inquinamento di Taranto per scopi politici e sbandierare fondi inesistenti, però, non è soltanto toccare il fondo: è scavare con foga.

Pur di avere consenso il Pd renziano ha proposto le fritture di pesce, le false schede elettorali del Senato, il ponte di Messina, ha sfruttato malattie e sofferenze, ha usato i fondi pubblici per mettere in scena la farsa dei Patti con Regioni e Comuni. Hanno ridotto il Cipe all’ufficio paghe della propaganda del comandante toscano. Quale poteva essere il risultato se non il “terremoto di Messina”?

I giovani, che con l’uso del web e dei social network hanno disintermediato la fruizione del messaggio politico, hanno capito che con Renzi avrebbero avuto un futuro lavorativo fatto di voucher, di pensioni da dividere con le compagnie assicurative, di iniziativa d’impresa appesantita, per esempio, dalle inefficienze introdotte dal decreto fiscale o dal caos delle norme sugli appalti pubblici. Per non parlare della clamorosa bocciatura della riforma Madia della Pubblica amministrazione.

Renzi si può invece consolare con il risultato di Milano: via Monte Napoleone ha votato “Sì”. In pelliccia e cachemire sono saltati sulle loro Porsche e hanno sfidato il freddo padano per difendere il futuro degli operai, degli impiegati, della classe media italiana. Classe media depauperata per interessi superiori, per interesse di quella industria che sostituisce nel ciclo produttivo le persone con i robot non per esigenze di precisione, ma per maggiore guadagno. Gli italiani rinunciano a curarsi, iniziano a rinunciare ad ogni spesa che non sia di sopravvivenza. C’è, come segnalato anche dallo Svimez, un risparmio difensivo. Il Paese ristagna e l’acqua sta diventando mefitica. Il Meridione così continuando è destinato ad essere il Sud del Nord Africa. D’altronde il Governo ha già cominciato ad accompagnare a frotte gli africani sulle nostre coste, anche nei luoghi turistici. Non sia mai che il Mezzogiorno riuscisse a sfruttare la paura attentati dell’Isis, che sta spostando verso l’Italia l’interesse dei turisti.

Renzi è rimasto sorpreso dell’acrimonia del popolo nei suoi confronti. Si sa, i terremoti sono inaspettati, ma se non curi il territorio non puoi stupirtene. Nessuna forza politica quindi avrà un futuro se non metterà il Mezzogiorno in cima alle priorità del Paese.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00