M5S: gli arrampicatori   di specchi

La ridicola vicenda culminata nel gran rifiuto espresso dai liberali europei dell’Alde di accettare i grillini nel loro gruppo ha fornito, a beneficio soprattutto degli ingenui e dei distratti cronici, un esempio lampante circa la vera natura del Movimento Cinque Stelle. Un non-partito sostanzialmente aziendale gestito in modo fortemente centralistico dai suoi effettivi proprietari, Beppe Grillo e la Casaleggio Associati, nel quale anche i parlamentari apparentemente più rappresentativi e carismatici, per non dire semplicemente tra i più presenti nelle varie tivù, svolgono un ruolo di meri portavoce di chi comanda davvero nel mondo incantato dei pentastellati.

Tant’è che, proprio in merito alla questione summenzionata, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, in questo momento i due principali beniamini della tifoseria grillina, hanno fatto il giro delle sette chiese televisive esibendosi in una defatigante gara di arrampicata sugli specchi, onde mettere una qualche pezza dialettica alla colossale sciocchezza commessa dal loro capo indiscusso. E che l’imbarazzo fosse troppo evidente, soprattutto in chi forse si era illuso di poter contare qualcosa all’interno di un non-partito che in realtà utilizza i propri eletti come semplici portavoce, si è ben compreso nelle a dir poco contraddittorie argomentazioni elaborate alla bell’e meglio dai due citati baldi giovani. Argomentazioni culminate nel presunto complotto ordito dal cosiddetto establishment il quale, intimorito dalla forza dirompente del M5S, avrebbe ordinato ad Alde di tenerlo fuori dal proprio gruppo europeo. Per non parlare della esilarante dichiarazione fatta da Di Maio, accreditato in precedenza come il più probabile candidato premier a Cinque Stelle, nel corso del talk-show “diMartedì”. Di Maio, rispondendo ad una domanda di Giovanni Floris in merito alla nostra permanenza nell’Euro, ha candidamente risposto che pure nel caso di una confluenza nel gruppo fortemente europeista di Alde avrebbe continuato a battersi per un’uscita dell’Italia dalla moneta unica. Ciò dimostra una grande incapacità politica nel distinguere la differenza tra scelte tattiche e scelte strategiche, come per l’appunto dovrebbe essere l’adesione ad un gruppo parlamentare, seppur sovranazionale.

D’altro canto, una classe dirigente degna di questo nome non si inventa dalla sera alla mattina, al pari degli strampalati referendum proposti senza alcuna discussione preliminare sul blog di Grillo. Una classe dirigente, oltre a sapersi arrampicare sugli specchi, abbisogna di quelle necessarie capacità critiche che solo sul difficile campo del dibattito interno possono strutturarsi. Ma quando il dibattito non esiste, sostituito da una pseudo-democrazia della Rete gestita da una società a responsabilità limitata, non esiste neppure una classe dirigente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:55