La delegittimazione:   Beppe Grillo ringrazia

Se per l’osservatore politico le ultime disavventure dei Cinque Stelle (dietrofront Alde, dilettantismo romano) sono la prova più lampante della confusione di Beppe Grillo e dei suoi, così non è per il corpo elettorale italiano. Per Nando Pagnoncelli, M5S cresce nei consensi ed è oggi il primo partito italiano col 30,9 per cento dei consensi, quasi un punto sopra il Partito Democratico. Com’è possibile?

Possibilissimo. Sono arcinote le ragioni per cui i vari populismi, di destra e di sinistra, d’Europa e d’oltre Atlantico, vanno mietendo consensi in tutte le democrazie, con la riproposizione del protezionismo in ogni dove. Non mi soffermerò dunque sulle paure diffuse che dominano i popoli europei, dinnanzi al mostro della globalizzazione economica ed ai suoi effetti.

Mi limito a fare una “bassa” considerazione sui comportamenti (strategie incoscienti?) che i partiti tradizionali hanno assunto per competere con un fenomeno che rotola all’insù, a valanga, come in un vortice ascendente. Sposto il tiro sui “comportamenti”, perché i programmi, i progetti, la cultura politica di riferimento, o la sua totale assenza, non sembrano aver peso ai fini del consenso, o per lo più svelano un’incidenza pari a zero.

Ignoranza popolare? I voti si contano e non si pesano e i partiti tradizionali hanno fatto di tutto per farsi “conteggiare” tra coloro che sono screditati. Da minoranza, di volta in volta, non si sono limitati a fare l’opposizione. Hanno fatto molto di più. Si sono cimentati nell’antico gioco della delegittimazione dell’avversario.

Silvio Berlusconi è stato delegittimato come “pregiudicato” (espressione cara a Marco Travaglio). È stato poi insolentito in una sequela di faccende “rosa”, maliziose e pruriginose. I governi di Romano Prodi, più seriosamente, sono rientrati nella delegittimazione classica degli appartenenti al “comunismo” o “post-comunismo”. Matteo Renzi, ultimo dei presidenti del Consiglio dell’Era ideologica, è stato delegittimato come pericoloso dittatore che vuol guidare l’Italia da “uomo solo al comando”. Io delegittimo te, tu delegittimi me. Così, nell’area deideologizzata della Seconda Repubblica, restano solo macerie. Chi ne ha tratto il massimo vantaggio è il Movimento Cinque Stelle, nei confronti del quale le “minuscole” vicende della sindaca Virginia Raggi e di Guy Verhofstadt sono polvere rispetto al fango con cui i partiti del vecchio arco costituzionale si sono imbrattati.

In Gran Bretagna la minoranza parlamentare è Majesty’s Opposition. Assolve una funzione costituzionale, utile e indispensabile di per sé. Merita legittimazione a prescindere. Non è d’impedimento al funzionamento del Parlamento. Da noi, invece, l’opposizione è un esercito guerreggiante. In Italia chi gioca di più, e in modo metodico, la carta della delegittimazione, è il M5S e la Lega di Salvini. Ma, mentre il partito di Grillo incrementa i consensi veleggiando verso la conquista del governo, la Lega, dopo aver raccolto il voto “ideologico” di chi ha rifiutato Forza Italia, dà l’impressione di aver esaurito l’ossigeno della propria ascesa. Perché?

Semplice. La Lega non è percepita come un movimento “diverso”. Del resto, come crederlo se i suoi uomini hanno fatto ampiamente parte dei governi che hanno guidato a lungo il Paese? E poi la posizione lepenista è troppo tinteggiata ideologicamente per raccogliere i consensi di chi, da ogni dove, da destra e da sinistra, vuole dare una scrollata al sistema. Per questo la Lega è molto meno attrattiva del M5S. Salvini scuote la pianta. Grillo ne raccoglie i frutti. È verosimile ritenere che, se la Lega continuerà nei comportamenti di contestazione radicale, chi ne trarrà maggiore vantaggio sarà, ancora una volta, il Movimento Cinque Stelle, com’è già avvenuto con il referendum costituzionale. Guardi la Lega a Marine Le Pen. Il Front contesta le politiche dei governi, non François Hollande o i suoi ministri.

Rebus sic stantibus, pare ragionevole auspicare che, nell’ambito di un possibile ritorno al proporzionale (modello Rft), i partiti (“ideologici”?) possano riscattarsi e ritrovare la reciproca legittimazione perduta, agendo di comune accordo, per un tempo delimitato e nel raggiungimento di pochi ponderati obiettivi. La strada comune, se non le larghe intese, potrebbe conseguire almeno la rilegittimazione del sistema. La modifica del Titolo V, del resto, serviva prima e serve oggi, come l’abolizione del Cnel e delle Province.

La martellante delegittimazione dell’avversario “ideologico” ha procurato evidenti danni, sia alla destra che alla sinistra. Renzi, nonostante Pier Luigi Bersani, ne ha saputo contenere i danni. La destra no. Il discredito bilaterale ha portato benefìci soprattutto a chi, non avendo un passato, ha saputo meglio interpretare le colpe del tempo passato, screditando il vecchio, ideologico e corrotto. È per questa ragione che Renzi e Berlusconi dovranno comunque incontrarsi, se non altro per traghettare l’Italia verso un rigenerato sistema bipolare. Guai ad idealizzare i sistemi elettorali. Non sono valori, ma strumenti. Vanno usati per misurare, di volta in volta, il bisogno di governabilità e di rappresentanza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:55