Trump c’è e ci sarà

La leniniana interrogazione (a sé e agli altri) a proposito del “che fare”; a proposito, cioè, della vera e unica garanzia a se stessi di non grattarsi pericolosamente il mento rinunciando all’azione, sta tornando attualissima con Donald Trump, nuovo presidente degli Usa, e dunque alleato (e che alleato) dell’Italia e dell’Europa. Una risposta al “che fare” il nostro direttore l’ha ben impostata ieri avvertendo, innanzitutto, gli inconsolabili vedovi ideologici di Barack Obama su ciò che non si deve fare. In primis smetterla con idee, parole e fatti di spingere sempre di più Trump, se non nel giro, nelle simpatie di Vladimir Putin. Si parla sempre più frequentemente di un nuovo corso fra il presidente Usa e il leader russo, tagliando fuori l’Europa. Come d’incanto, sono risorte nel mio ricordo le scene, invero seducentemente televisive, dell’incontro promosso dall’allora Premier Silvio Berlusconi a Pratica di Mare. Maestro dell’effetto televisivo, Silvio aveva fatto riprendere i sorrisi soddisfatti di un Putin agli albori ma non ingenuo e, soprattutto, non casualmente presente dopo l’inabissamento dell’impero del male comunista, in quell’incontro eurointernational largo, nel quale l’offerta del volto sorridente dell’Alleanza Atlantica sembrava come dischiudere un’Era nuova, un capitolo diverso e tutto da riscrivere fra Est e Ovest. Un’immagine dunque positiva, forse eccessivamente ottimistica (il Cavaliere è fatto così...), ma indicatrice di un percorso la cui interruzione è sotto gli occhi di tutti. Uno stop, se non una voltata di spalle o, addirittura, un arretramento.

Gli Stati Uniti di Obama, va pur detto e ribadito, non soltanto sono arretrati nella zona più calda del mondo e cioè il Medio Oriente, ma ne hanno lasciato un deserto, un vuoto, riempito prima da Osama bin Laden ed ora dal Califfato dell’Isis che minaccia ben al di là del Medio Oriente, noi europei, esportando fanatismo e terrorismo. Che doveva fare Putin? Grattarsi il capoccione in attesa di qualche risoluzione (inutile) dell’Onu, o di una proposta operativa nel solco della visione di Pratica di Mare? Figuriamoci. Al contrario le primavere arabe stimolate ma ben presto abortite, avvento di regimi instabili, infine, Obama e Hillary Clinton hanno chiuso la saracinesca sulla questione: sbagliando, eccome! Non solo chi sbaglia paga e la fa pagare anche agli alleati europei ma, a livello internazionale, lo sbaglio ha prodotto l’arrivo sulla scena di Putin. Per di più, anche all’interno del proprio Paese, lo sbaglio è stato avvertito come una sorta di resa, ed è arrivato Trump, discusso e discutibile fin che si vuole, pasticcione e aggressivo di professione privilegiando i propri interessi, compresi quelli degli Usa, dunque riccone sfacciato, mediaticamente e anche ideologicamente “mostruosizzato”, ma pur sempre derivato, in gran parte, da quel clima rinunciatario, con tutto ciò che questo comporta. Magari con una prioritaria scelta di difesa degli interessi americani. Depurato dai frizzi e lazzi del politically correct, non è mai stato un segreto per nessuno il trumpismo, tanto più se vincente su una Hillary Cinton - ma noi diciamo Obama tout court - che dall’alto della sua indubbia intelligenza, della sua superiorità culturale, del suo appeal attrattivo, aveva infine racimolato ben poco nel sacco delle realizzazioni, a parte gli errori sopraddetti con l’inevitabile conflitto con un Putin che sta tessendo la sua tela mediorientale e internazionale sulla scorta di risultati concreti (Siria, ecc.).

Donald Trump ha il chiodo fisso di un certo protezionismo all’americana che consiste nel fare i propri interessi economici pur in un’ottica di cauto rispetto delle alleanze, di cui gli Usa, peraltro, sono il cardine sine qua non. Da ciò, nel suo “speech” di ieri l’altro, l’attacco frontale all’emblema europeo, Angela Merkel, accusata per i troppi emigrati da lei accolti anche per l’assenza di una vera e propria politica comune europea sull’immigrazione, l’elogio della Brexit, l’obiettivo di trattare separatamente con gli Stati singoli alla faccia dell’Unione europea occidentale, e così via. Si sa, Trump le spara grosse prima di entrare nella White House, e occorre attendere le mosse del “dopo”, cioè fra poco. Ma quando ad esempio critica a fondo un’Europa che non ha una politica davvero unita su non poche cose, che con la Brexit ha tolto la maschera dell’unità a tutti i costi, un’Europa che - soprattutto - non ha una politica di difesa dalla minaccia del terrorismo, ecco levarsi le difese risentite di un François Hollande che non accetta lezioni, o di un ministro tedesco che non vuole ordini, ed è tutta un’alzata di scudi in nome dell’orgoglio europeo!

Ma, in riferimento alla politica di difesa comune sia pure sotto l’ombrello Usa, la leggendaria Ue è stata forse in grado di mettere in piedi e in opera autonomamente qualcosa in grado di incidere in tempo e a fondo? E a proposito del pericolo più immane e infaticabilmente operante come il terrorismo Isis, siamo stati capaci di organizzarci militarmente, e ne sottolineo il termine, rispetto ai tanti criminali a spasso per il Vecchio Continente? E che si è fatto e s’intende fare rispetto ai Paesi non solo di origine ma, soprattutto, a quelli che li finanziano per ammazzarci, pur definendosi nostri amici? Begli amici! Su tante cose Trump ha torto. Ma non su questa faccenda. Che conta, eccome.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 20:03