Cosa insegna il caso Raggi

Viene proprio voglia di gridare viva Vittorio Feltri, e anche Vittorio Sgarbi e, pure, Barbara Palombelli dopo quella pessima figura da ipocriti offerta dal sindaco di Roma, Virginia Raggi, dopo il caso “Patata bollente”. E liquidiamo questo casus minimus Raggi che, lo sapete bene, consiste, in fin dei conti, in una ridicola e penosa reazione, innanzitutto della prima cittadina di Roma, a un titolo di un giornale che, come tutti i giornali, è ancora libero, anzi, “Libero”, di esprimere giudizi, battute, pensieri su chiunque faccia politica, specialmente se alla guida della Capitale. Patata bollente o cotta, fritta o al forno, incartata o meno, lo stracciarsi le vesti sia dell’interessata che di un certo femminismo francamente demodé, hanno mostrato, loro sì, il volto della peggiore ipocrisia cui s’è aggiunta una particina della politica, anche istituzionale.

Ma l’altro caso, quello a tutto tondo messo in luce soprattutto dalla reazione della Raggi, consente di andare ben al di là del fatto specifico perché costituisce una chiave d’accesso al più generale caso o fenomeno chiamato Beppe Grillo (e Casaleggio senior). Alla reazione raggiana è stato facile replicare che proprio lei, l’indignata speciale per le critiche rivoltegli, era stata un campione di insulti, gestacci, parolacce e insinuazioni contro i nemici politici (tutti gli altri) dando in ciò aurea conferma alla massima del “chi la fa l’aspetti”. Ma c’è di più, molto di più interessante in questo episodio dal quale, e lo vedremo fra poco, la Raggi emerge non soltanto come soggetto iper-reattivo alle censure che la riguardano - il che potrebbe essere uno sfogo a volte comprensibile - ma soprattutto come icona emblematizzante di un intero movimento che ha in Grillo il suo indiscusso boss, con l’imprimatur indelebile e insostituibile di Casaleggio padre. Che poi la sindaca di Roma non sia capace di fare il suo mestiere per cui l’hanno votata i suoi concittadini, questo è un discorso che viene dopo o quanto meno a coté dell’altro, nella misura in cui il suo fallimento finirà o finirebbe col mettere una sorta di pietra tombale su un disegno immaginifico, su un sogno impossibile, su un incantamento per anni (ahimè) sottovalutato, e praticato dal Movimento Cinque Stelle.

Perché abbiniamo Grillo e Casaleggio? Perché il populismo, il qualunquismo, la protesta, insomma, la rabbia del comico-politico genovese non avrebbe avuto alcuna chance di successo elettorale se al suo fianco non si fosse mossa la potente macchina da guerra casaleggiana, ovverosia Internet, Google, sms, Facebook e streaming, messi al servizio di un disegno per molti velleitario ma in sostanza totalitario, di canalizzare populismo e rabbia secondo le linee della nuova scienza internettiana che nel vuoto dei partiti, quelli cancellati da “Mani Pulite” in primis e via via tutti gli altri di oggi, persegue lucidamente il trionfo dell’uomo comune (uno vale uno) inteso come principes urlato da Grillo, ma allo stesso tempo, grazie appunto a Casaleggio, come spettatore e sovrano sui generis che partecipa, decide e sanziona il rigetto delle élites, il rifiuto dell’establishment ponendosi come alternativa globale al sistema attuale.

La potente fisicità di Grillo non servirebbe che a mobilitare un movimentino qualsiasi di protesta se non avesse alla base del suo dispiegarsi la geniale intuizione di Casaleggio. Che consiste ovviamente in un uso, in un certo senso rivoluzionario, di Internet sia perché intende superare la democrazia rappresentativa cogliendo dapprima gusti, umori e malumori dell’opinione pubblica sia intercettandone il consenso proprio sulla base dei temi che vanno per la maggiore. “Se l’immigrazione è un tema forte, Grillo la cavalca e adotta la posizione più popolare, cioè una postura proto-leghista. Lo stesso vale per l’Euro, le banche e qualsiasi altro tema di attualità. Se su uno di questi temi l’opinione pubblica dovesse evolversi in senso contrario, il M5S cambierebbe posizione, come è già accaduto più volte, senza il minimo imbarazzo. La macchina del Movimento (questa è la tesi di Giuliano da Empoli) è la traduzione politica di Google, intercetta le preferenze degli utenti e dà loro esattamente quello che vogliono”.

E dunque sarebbero, saranno, velleitarie le polemiche su Grillo e Casaleggio, perché sono, saranno loro a decidere su tutto, alla faccia del Movimento cosiddetto democratico 5 Stelle.

Tornando alla Raggi, il termine di icona rappresentativa ha una sua ragion d’essere evidentissima nelle mutazioni, nei cambiamenti, nelle giravolte, nelle mutevolezze di giudizio, dal caso Marra al caso Berdini, al caso stadio. Il caso Raggi, dunque: una mutante che cambia parere. Ma anche gli elettori sono mutanti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:56