Matteo Renzi scolaretto di Eugenio Scalfari

“Ma l’Italia adesso che cos’è? E che cos’è adesso la sinistra italiana?” il pensoso Eugenio Scalfari domandava a se stesso, morettianamente, l’altra domenica. Gl’interrogativi lo tormentavano nell’insonnia notturna. Così al mattino decise, con la risolutezza che il risveglio apporta, di parlarne con Matteo Renzi. Scalfari s’avvide al primo sguardo che Renzi era diversissimo. “L’ho trovato molto cambiato da come avevo interpretato allora la sua politica” sospirò intorcinandosi. I suoi assillanti dubbi erano in realtà più vasti e consistenti delle specifiche domande. “Abbiamo parlato sia dell’Europa sia della società globale sia dell’Italia e della sinistra italiana ed anche del Governo Gentiloni che rappresenta soprattutto il Partito Democratico chiamato renziano dopo la scissione di Pier Luigi Bersani e dei suoi compagni di strada” ha lasciato cadere ecumenico e benevolente. Qui Scalfari ebbe un mancamento. Infatti non ricordò neppure un pensierino sbocconcellato da Renzi sull’imponente materia della conversazione. Parlò sempre Scalfari? Renzi ascoltò soltanto? Scalfari coprì il pensiero universale di Renzi sotto il più rigoroso segreto professionale, mentre qualche confidenza casareccia sentì il dovere di lasciarla trapelare: “Ormai Renzi ha scartato l’ideale iniziale di accelerare sia le primarie sia il Congresso per chiedere poi lo scioglimento anticipato delle Camere e le elezioni ad aprile o a giugno o perfino ad ottobre, ora ha cambiato idea: farà il suo lavoro fino al 2018 a legislatura automaticamente terminata”. Chiarito così, in negativo, ciò che Renzi non farà nel 2017, Scalfari gli ha usato la delicatezza di elogiarne, in positivo, i lodevoli propositi ed impegni che lo assorbiranno nell’arco dell’anno stesso. “Lui penserà a riformare il partito soprattutto nella struttura territoriale della quale non si era mai occupato” ha assicurato Scalfari, sottolineando che “questo compito lo assorbirà totalmente”. È stato veramente consolante sentirselo confidare!

Fu a questo punto che Scalfari venne torturato da un altro angoscioso interrogativo, più che paterno: “Nel frattempo studierà e che cosa?”. La risposta gli venne tuttavia naturale: “La struttura territoriale e culturale del nostro Paese nelle sue varie espressioni”. Renzi, povero tapino, evidentemente sconosceva tale “struttura territoriale e culturale”, ad eccezione di due o tre paesini sull’Arno. Del resto, lo aveva ammesso a testa bassa allo Scalfari in precedenti incontri. Tant’è che ne ricevette saggi consigli sulle letture da intraprendere per acculturarsene: i tomi su Cavour, Giustino Fortunato, Salvemini, Antonio Labriola. Ma Renzi non era stato diligente al massimo, si lasciò scappare Scalfari: “Lui ne ha letti alcuni e li leggerà tutti ed altri ancora”. Su come e quando Renzi avrebbe potuto dedicarsi alle residue letture, Scalfari tacque, sebbene lo descrivesse “totalmente assorbito” dalla riforma del partito. Incurante di caricare sulle spalle dello svogliato allievo il peso di troppi libri, il precettore gli ha suggerito anche un po’ di De Sanctis, Machiavelli, Vico, per addottorarsi sui valori e gl’ideali politici. Con la dolcezza e la modestia che gli è connaturata, Scalfari si è schermito quando Renzi, un ex presidente del Consiglio e segretario in carica del più grande partito italiano, gli ha pigolato: “Quando ci parleremo di nuovo ti farò un resoconto dei libri letti come prova che non ti stavo prendendo in giro”. E, da quel civettuolo che è, ha sospirato compiaciuto: “Forse voleva accaparrarsi la mia simpatia e gliel’ho detto”.

La conclusione ricavabile dal siparietto domenicale su “La Repubblica” è più seria che faceta. Se Scalfari ha detto la verità, Renzi per la vergogna dovrebbe ritirarsi, magari a studiare, lasciando per sempre anche il benché minimo impegno politico. Se Scalfari ha mentito, Renzi lo dovrebbe querelare per diffamazione aggravata, concedendogli ampia facoltà di prova.

Aggiornato il 03 maggio 2017 alle ore 11:08