Sanzioni americane a Intesa Sanpaolo

Le autorità di sorveglianza americane sulle transazioni bancarie hanno comminato una multa gigantesca (250 milioni di dollari) a Intesa Sanpaolo, per aver “aggirato i controlli antiriciclaggio per un decennio” nella regolazione delle transazioni finanziarie con clienti iraniani.

Negli “States” certe cose non si possono fare perché aiutano un regime giudicato nemico, ma Intesa Sanpaolo le ha fatte. Non è stata l’unica, è vero. Altri istituti di credito sono coinvolti nello scandalo, tuttavia in un caso del genere il detto popolare “mal comune mezzo gaudio” non vale. Si tratta di una vicenda pesante con ricadute politiche significative. Pensate che qualcuno se ne sia preoccupato? Nessuno, eccezion fatta per Daniele Capezzone, parlamentare di “Direzione Italia”, al quale va riconosciuto il merito di aver sollevato la questione in sede istituzionale presentando un’interrogazione parlamentare il 20 dicembre dello scorso anno.

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto come ha fatto Capezzone a venire a conoscenza del fattaccio? Dai nostri media, gli sdentati cani da guardia della democrazia? Neanche per idea. Che una banca italiana dovesse una montagna di quattrini al governo americano a titolo d’ammenda per i suoi comportamenti scorretti lo ha appreso leggendo il “Financial Times”. I fatti. Il Dipartimento dei Servizi finanziari di New York ha contestato a Banca Intesa la violazione della normativa sul “money laundering” per alcune transazioni finanziarie che coinvolgono l’Iran. Si tratta di oltre 2700 operazioni per un ammontare di 11 miliardi di dollari, gestite per conto di clienti iraniani con società di comodo attraverso le quali sono transitati i pagamenti. I movimenti finanziari contestati risalgono al periodo 2002-2006. L’Iran era sulla lista nera degli americani e sottoposto a embargo economico. I funzionari della banca italiana non soltanto avrebbero ignorato i divieti imposti dalle autorità americane, ma si sarebbero attivati per nascondere le informazioni che avrebbero potuto collegare le proprie operazioni finanziarie ai soggetti colpiti dalle sanzioni statunitensi. L’indagine è del 2007. Si è conclusa alla fine dello scorso anno con la condanna, patteggiata da Intesa Sanpaolo, al pagamento dell’esosa multa.

Cosa ha risposto il nostro governo interrogato sulla questione? Dopo un lungo silenzio oggi ammette la batosta anche se l’ha edulcorata definendola un “Written Agreement”, un accordo sottoscritto tra la banca e il New York Department Services (Dfs), come se si trattasse di una normale transazione d’affari e non di una stangata seguita a un pronunciamento sfavorevole in sede amministrativa. Per il nostro governo, comunque, non ci sarebbe stato accanimento degli americani verso il nostro istituto di credito: tutto in linea, tutto regolare. Inoltre, nei termini dell’”accordo” rientrerebbe l’impegno di Banca Intesa a sottoporsi a una verifica da parte di un consulente di auditing indipendente per valutare se dal 2006 al 2014 siano state compiute altre “marachelle” del tipo di quelle accertate.

Ora, di là dalle dimensioni quantitative della multa erogata, c’è un problema politico gigantesco che investe il governo italiano. Per Washington l’Iran continua a essere uno Stato canaglia che merita di essere bastonato dalla comunità internazionale. Non più tardi di qualche giorno fa, il presidente Donald Trump in visita in Arabia Saudita lo ha ribadito. Il premier Paolo Gentiloni e il suo predecessore, Matteo Renzi, spingono perché le imprese italiane aumentino il giro d’affari con Teheran. Ora, delle due l’una: o fanno fronte comune con gli ayatollah mandando a ramengo la solidarietà occidentale e l’amicizia con Israele che l’Iran vuole cancellare dalla faccia della terra, oppure si allineano alle posizioni d’intransigenza nei confronti di un soggetto geopolitico che punta a dotarsi di armi nucleari mettendo a rischio la stabilità globale. Il governo e la sua maggioranza devono scegliere da che parte stare. Non si può pretendere di fare il solito doppiogioco per avere la botte piena e tenersi la moglie ubriaca. Così si perde quel poco di credibilità internazionale che è rimasta all’Italia da quando la sinistra s’è presa il potere. La politica, checché ne pensino dalle parti del Nazareno, non è l’arte dell’arrangiarsi ma il coraggio della coerenza nelle scelte impegnative. A quanto pare, però, questo non è articolo che va di moda nella bottega renziana.

Aggiornato il 29 maggio 2017 alle ore 12:57