La psicosi da combattere

Più di millecinquecento feriti a Torino significa che i terroristi islamisti hanno vinto la loro battaglia tesa a diffondere la psicosi della paura nel mondo occidentale. Il povero grillino Alberto Airola ha pensato che il numero di millecinquecento feriti fosse stato gonfiato per muovere critiche all’amministrazione comunale guidata da Chiara Appendino. Ma la pedestre speculazione politica dell’esponente dei Cinque Stelle si è subito spenta. I feriti sono stati effettivamente più di millecinquecento ed Airola si è affrettato a chiedere scusa per una strumentalizzazione che se mai avesse avuto seguito avrebbe avuto la colpa di distogliere l’attenzione dalla estrema gravità dell’episodio. Benché il nostro Paese sia stato fino a ora indenne da attentati sanguinosi simili a quelli avvenuti nel resto dell’Europa, la paura suscitata dalle azioni del terrorismo internazionale ha diffuso una psicosi anche in Italia. Con tutte le conseguenze che ne conseguono. Che non sono solo quelle del timore crescente in ogni cittadino per eventi di qualsiasi tipo in grado di richiamare la partecipazione di grandi masse di cittadini. Ma che sono soprattutto quelle imposte alle autorità per prevenire non solo le azioni terroristiche ma anche gli effetti della psicosi di massa diffusa e radicata nella società italiana.

Tutto questo è destinato a produrre nuovi disagi per i cittadini, nuove limitazioni alla loro libertà di movimento e di aggregazione, nuove restrizioni ai loro momenti di svago, di divertimento, di passione e di gioia. È difficile prevedere quali possano essere i provvedimenti che verranno escogitati per limitare la psicosi ridotta dalla paura degli attentati terroristici. Ma è certo che dei provvedimenti ci dovranno essere. E che non sarà affatto facile convincere l’opinione pubblica a sopportarli senza convincerla dell’esistenza di uno stato di assoluta emergenza che impone disagi, limitazioni e restrizioni.

Questa emergenza non è uguale a quella conosciuta durante il terrorismo nostrano degli “anni di piombo”. Allora i “nemici” avevano un’identità precisa, erano riconoscibili. Oggi i nemici sono lontani ma la psicosi che hanno prodotto è tragicamente inoculata nella nostra società. Forse per fronteggiarla e giustificare ogni forma di prevenzione non rimane altro che ammettere che l’emergenza altro non è che la guerra proclamata dai terroristi all’Occidente. Alla democrazia, alla nostra libertà.

Aggiornato il 07 giugno 2017 alle ore 09:06