L’apologia del fascismo e il diritto di dissentire

venerdì 14 luglio 2017


Ho assistito con grande curiosità ai dibattiti e alle polemiche sul disegno di legge che vorrebbe introdurre nel nostro ordinamento il reato di apologia del regime fascista e nazifascista, assegnandogli il numero 293 bis del Codice penale.

Se non ho male inteso, chi si oppone a questa iniziativa sostiene che si tratterebbe di un vero e proprio attentato alla libertà di opinione, anche delle opinioni sbagliate, quali sono, senza dubbio, quelle adesive all’ideologia fascista o nazista. Altri dicono che il fascismo è un crimine, non un’opinione e, infine, altri ancora sottolineano la sostanziale inutilità della proposta, considerandola una sorta di pleonasmo normativo destinato, nella migliore delle ipotesi a sovrapporsi a fattispecie da tempo esistenti nel sistema.

Provo a dire la mia. Siamo di fronte alla solita bestialità; anzi, una bestialità caprina di cui solo noi italiani siamo capaci. Questa sciocchezza non è soltanto (e principalmente) l’ennesimo reato di opinione il cui scopo è punire gli psicopatici che si ostinano a simpatizzare per il fascismo. È molto peggio: è un reato di pericolo astratto che calpesta il principio di offensività che deve caratterizzare tutte le manifestazioni criminali.

Insomma, un reato è tale perché lede qualche cosa o crea i presupposti concreti e idonei a produrre un danno. La propaganda è una condotta organizzata il cui scopo è raccogliere consenso intorno a un progetto; ha un fine e non si esaurisce nella manifestazione del pensiero, ma si traduce in condotte precise, tangibili. La propaganda, per dirla con parole semplici, è una azione, non un’idea.

Il fatto che la propaganda possa essere realizzata – anche “solo” – attraverso la produzione o la vendita di “beni raffiguranti persone, immagini o simboli” è una idiozia di proporzioni tali da non consentire alternative: o l’ideatore del progetto merita di tornare sui banchi di scuola, oppure è pericoloso per la democrazia che assume di voler difendere. E poiché io non penso mai che gli altri siano fessi, dico che la seconda ipotesi è quella buona. Il diritto penale è tornato ad essere, come all’epoca del fascismo, uno strumento di controllo, di prevenzione esasperata. In altre parole, di repressione.

Non si tratta di difendere la libertà di opinione, ma la libertà di dissentire, di protestare e, se volete, anche di credere nelle idee sbagliate. Se qualcuno afferma che la democrazia corra pericoli concreti perché qualcun altro vende immaginette del duce, il problema non è il duce, ma chi pensa quelle cose.


di Mauro Anetrini