Continua la soap estiva “Angelino dove lo metto”

L’accordo tra Forza Italia e Alternativa Popolare per le regionali siciliane sembrava fatto. Invece, tutto è di nuovo in alto mare. Angelino Alfano ha scoperto le sue carte: vuole la poltrona di Palazzo d’Orleans per uno dei suoi. E vuole anche che l’accordo preso in sede locale venga riproposto tal quale alle prossime elezioni legislative. Per questa ragione l’intrepido leader centrista ha riaperto l’asta per l’aggiudicazione dei suoi voti in terra siciliana. Come di rito, nei regolamenti delle aste vince chi presenta l’offerta più alta.

A intralciare i piani del commissario regionale di Forza Italia, Gianfranco Micciché, che pensava di essere l’unico interlocutore nella trattativa, si è messo Matteo Renzi. Il cinico capo dei “Democratici”, dopo aver trattato l’alleato centrista peggio di uno strofinaccio, rifatti due conti, pensa di utilizzarlo per i suoi scopi. Può darsi che vi riesca, magari dando ad Angelino l’intrepido la sensazione di aver condotto una trattativa di successo concedendogli di indicare alla presidenza della Regione un candidato non legato ad Ap ma di suo gradimento. Potrebbe bastare ad Alfano per buttarsi a sinistra. Anche se quest’ulteriore svolta non sarà facilmente digerita dalle sue truppe. Senza parlare dei “lombardi” Maurizio Lupi e Roberto Formigoni che sono sul piede di guerra da quando si paventa un matrimonio definitivo con il Partito Democratico di Renzi, non tutti i notabili centristi del Sud gradiscono l’idea di fare da ruota di scorta a una sinistra che, in fondo, continua a disprezzarli ritenendoli eredi della peggiore tradizione clientelare che ha ammorbato per decenni il clima politico e sociale del Paese. C’è quindi da presumere che il fatidico giorno nel quale, metaforicamente, si apriranno le buste per certificare la migliore offerta pervenuta Alfano non sarà solo. I suoi luogotenenti vorranno dire la loro. Per questo ha ragione chi pensa che l’accordo col Pd quasi fatto di oggi non è ancora un patto. Sarà così e sarà pure vero che qualcuno in Forza Italia spera di ribaltare la situazione. È umano credere ai prodigi. Ma viene di porre due domande a codesti speranzosi. Signori cari, vale la pena stare dietro a un personaggio che ha messo all’asta il suo partito? Davvero vi fidereste di uno così? Se fossimo al vostro posto ci terremmo lontani dal rischio di essere ritenuti complici di un mercimonio indecente che sta facendo il gioco dei campioni dell’antipolitica. Dire con tanta spregiudicatezza: vado con chi mi offre di più, è il peggiore segnale che si possa dare in un momento storico in cui gli italiani pretendono chiarezza e coerenza dalla classe politica. È comprensibile che qualcuno guardi al peso elettorale dei centristi in Sicilia ritenendolo influente ai fini del risultato finale. Tuttavia, non è certo che sia così.

I sondaggi quotano gli alfaniani in Sicilia sopra il 6 per cento. Ma si tratta di sondaggi. Poi ci sono le urne che parlano. Alle recenti elezioni amministrative per il Comune di Palermo, Alternativa Popolare si è presentata insieme al Partito Democratico in una lista civica senza simboli di partito. Le due forze hanno raccolto 20.278 voti, pari all’8,57 per cento dei consensi espressi. Ora, sarà pure vero che il Pd renziano in Sicilia è alla canna del gas ma di quella manciata di voti la grande maggioranza gli deve essere attribuita per storia e radicamento nella città. Al contrario, Forza Italia, presentandosi con il suo simbolo, ha ottenuto 20.367 voti, pari all’8,61 per cento. Cioè, 89 voti in più di piddini e alfaniani messi insieme. Rifacciamo la domanda: ma davvero c’è bisogno di Angelino per vincere in Sicilia? Tanto più che, in quelle comunali, il candidato di Matteo Salvini a Palermo che correva in solitario, senza una storia alle spalle e un apparato di partito organizzato, ha tirato su 6.596 voti per la lista che lo sosteneva. Il 2,79 per cento del totale. Pur non avendo elementi sufficienti per disaggregare il voto alla lista “Democratici e Popolari”, francamente non sappiamo se nell’8,61 per cento conquistato da Pd e Ap uniti, la quota-Alfano sia superiore al 2,79 per cento raggranellato dall’allegra brigata dei lepenisti siculi.

Giusto allora affidarsi alla saggezza popolare. In casi del genere consiglierebbe che certi amici è meglio perderli che trovarli. Per dirla in un linguaggio politically correct, Angelino Alfano, appesantito dalla storiaccia giudiziaria dei suoi colleghi di partito invischiati nel business che ruota attorno al Cara di Mineo, potrebbe rivelarsi più un disvalore che una risorsa. Meditate, dunque, gente di Forza Italia. E tanti auguri alla Sicilia.

Aggiornato il 12 agosto 2017 alle ore 11:21