Politici e burocrati

mercoledì 13 settembre 2017


Una delle invettive più comuni riguarda la burocrazia. Quasi tutti, e persino loro stessi, inveiscono contro i burocrati. I politici, che la istituiscono, tuonano contro la burocrazia, che, a sentirli, blocca o intralcia o boicotta le leggi e le misure da loro approvate.

“Nell’adempiere ai suoi doveri – scriveva Ludwig von Mises in Burocrazia – il funzionario avverte di essere un membro utile della comunità, perfino se le leggi che egli deve far applicare nuocciono al bene pubblico. E questo perché non è lui il responsabile della loro imperfezione. Per essa si deve biasimare il popolo sovrano, non il fedele esecutore della volontà popolare”.

Rimpallarsi la responsabilità delle cose che non vanno è altrettanto comune tra politici e burocrati, i quali sono reciprocamente come il gigante Anteo e la madre Gea (la Terra) che, uniti, erano imbattibili perché l’uno prendeva forza dall’altra restandovi a contatto. È vero che, secondo il mito, Ercole riuscì a strozzare Anteo sollevandolo dal suolo. Ma, nella realtà, da quando, per vizio proprio e per impulso del socialismo di destra e di sinistra, anche lo Stato democratico si è espanso come un crapulone, non si vede più all’orizzonte un eroe che, alla stregua di Eracle, abbia la forza e la sagacia di sconfiggere il gigantismo politico-burocratico.

A riguardo, poniamo alla massa degli indignati contro la burocrazia due domande cruciali: “Chi sceglie i politici? Chi crea i burocrati?”. In democrazia, la cinghia di trasmissione tra rappresentanti e rappresentati, per quanto sfilacciata e zoppicante, è sempre in moto, per definizione. Quindi il popolo sovrano, se davvero volesse, potrebbe ottenere quell’ambiente istituzionale ideale, che implica la riduzione all’osso della burocrazia e dei burocrati.

Acutamente e argutamente scriveva ancora von Mises: “I termini burocrate, burocratico, burocrazia sono chiaramente offensivi. Nessuno si definisce un burocrate o chiama burocratici i propri metodi di gestione. Questi termini sono sempre usati in senso offensivo. Essi comportano sempre una critica denigratoria di persone, istituzioni e procedure. Nessuno dubita che la burocrazia sia qualcosa di totalmente negativo e che, in un mondo perfetto, essa non dovrebbe esistere”. Tra l’altro, il carattere ingiurioso, indiscutibile, dei termini fa della burocrazia, in astratto, pure un facile capro espiatorio. Alla prima domanda rispondere è facilissimo. L’elettorato è responsabile dei politici che sceglie, con l’aggravante che generalmente li seleziona e li vota soprattutto quando da candidati promettono più interventi pubblici, cioè più spese; cioè, ancora, più uffici; cioè, ancora, più funzionari. Il popolo, dunque, protesta contro la burocrazia che ha determinato a creare eleggendo i politici che lo vellicavano. Alla seconda domanda la risposta è ugualmente facilissima. Il compito e il posto dell’impiegato pubblico, cioè della burocrazia, sono creati, letteralmente, in modo diretto o indiretto, dalle decisioni degli uomini politici che li istituiscono e li finanziano. Con che faccia se ne lamentano?

Tornando ad Anteo e Gea, i burocrati sono impiegati statali non meno che elettori collegati alla politica. E qui il nostro von Mises ha pronunciato una sentenza definitiva: “Tale doppia relazione diventa più importante nella misura in cui aumenta il numero delle persone sul libro paga dello Stato. Il burocrate, come elettore, è più desideroso di ottenere un aumento (o comunque un miglioramento personale: meno lavoro, meno responsabilità, più benefici, più privilegi, n.d.r.) che di mantenere il bilancio in pareggio. La sua maggiore preoccupazione è di ingrossare il libro paga”.

Concludendo, la burocrazia è inevitabilmente... burocratica. Per quanti sforzi possano farsi per renderla, come amano dire, più efficiente, essa è soggetta a suoi propri principi essenziali, intrinseci, immanenti, il primo dei quali consiste nel curare prima se stessa e poi i suoi compiti, mentre il secondo sta nel lamentarsi sempre della presunta carenza di personale. L’intento di migliorarla è lodevole, ma il miglioramento non riuscirà mai ad andare oltre la legge ferrea della sua natura.


di Pietro Di Muccio de Quattro