Centrodestra, uniti sì ma con chi?

C’era una volta l’unità, non l’organo di stampa del Partito Comunista Italiano, poi Partito Democratico della Sinistra, e infine Partito Democratico, ma qualcosa di più: un obbligo, un impegno, una necessità, un obiettivo, una meta da raggiungere e da conservare.

Siccome l’unità era essenzialmente riferita alla vita interna di un partito, la sua stessa pronuncia implicava una sacralità il cui rito doveva assolutamente trasmettersi da chi la pronunciava a chi la ascoltava come un testimone garantito da entrambi. Del resto, chi era è e sarà mai contrario a celebrare quella sorta di messa laica sull’altare di una parola che resta, sempre e comunque, una parola, appunto. E sappiamo che nella sinistra della Prima Repubblica come in quella di oggi - vedi l’illuminante riunione dell’altro giorno fra pisapiani, bersaniani e dalemiani, tutti o quasi provenienti da una scissione - più si implorava l’unità più seguiva, poco dopo l’implorazione, qualche scissione; anche negli accordi, ovviamente unitari, fra partiti di una stessa area, al di là persino degli impegni conclusivi unitari (vedi sempre il tavolo dei venti).

In questa Seconda Repubblica, con un sistema elettorale diverso da prima, l’impegno all’unità non si riferisce quasi mai alla vita interna partitica ma all’alleanza da raggiungere o raggiunta fra consimili, in previsione delle elezioni prossime venture. L’esigenza primaria nel centrodestra riguarda l’accordo fra Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, dando comunque per scontata l’unità certa tra Fratelli d’Italia e Lega. Anche quella fra il Cavaliere e il segretario leghista sembra sicura anche per le sue solide radici fin dai tempi di Umberto Bossi se non fosse che qualcosa o qualcuno è cambiato da allora nella Lega, e non solo con l’evidentissimo ricambio al vertice; un qualcosa che Salvini non smette mai di esprimere. Sia per distanziarsi “fisicamente” sia, soprattutto, per distinguersi “politicamente” dal moderato, liberale e convinto aderente al Partito Popolare Europeo, pigiando sull’acceleratore dell’immigrazione e della sicurezza, diventati due cavalli di battaglia salviniani, rimproverati da non pochi progressisti come autoritari, razzisti e fascistoidi.

È comunque un’alleanza che governa, senza grosse scosse interne, regioni “portanti” come Lombardia e Veneto, peraltro guidate dai leghisti Roberto Maroni e Luca Zaia e che in Sicilia sta reggendo non foss’altro perché laggiù la Lega non conta e, dettaglio non insignificante, la guida designata non è anch’essa di Forza Italia ma di Fratelli d’Italia con Nello Musumeci.

La Sicilia è un test molto importante nelle previsioni berlusconiane che guardano oltre, verso il traguardo delle “Politiche” fra qualche mese. Nelle quali giocheranno un ruolo significativo le cosiddette liste minori alle quali il Cavaliere dice spesso di volersi agganciare, anche promuovendole o agevolandole, vedi il caso di Mauro ma non solo, anche se, proprio in Sicilia, il ministro Angelino Alfano, ha optato per Matteo Renzi e non per lui. Lungi da noi l’idea di dire che ha ragione o torto, sono problemi per dir così interni con piaghe antiche, ostilità verso gli scissionisti, inimicizie personali che sono il retaggio di scissioni da Forza Italia, anche clamorose. Il fatto è, tuttavia, che proprio dall’obbligo numerico per la vittoria di un’alleanza (una volta si diceva di un Polo) sull’altra, discende la necessità di allargare il più possibile questa alleanza, facendo sforzi, ovviamente reciproci, per abbandonare pregiudiziali, rincontrarsi, parlarsi, accordarsi, unirsi e vincere.

Non sembra, a naso, che siano stati fatti molti sforzi in tale direzione posto che Alfano è di là con altri dei suoi, come probabilmente Fabrizio Cicchitto e che Pier Ferdinando Casini era già da tempo dalla stessa parte. Ma, sempre a naso, l’impressione è che prevalgano soprattutto i veti di Salvini che sembra avere più interesse a smarcarsi anche da Berlusconi pur di ottenere un risultato personale e alla “sua” Lega piuttosto che un successo fra alleati per governare il Paese. Non ne vuole sentir parlare degli Alfano e dei Casini, ma anche dei Verdini, dei Tosi e di altri fra cui stavamo per metterci l’indimenticabile Salvatore Cuffaro, il quale in una sua intervista da qualche parte ha citato, a proposito di alleanze, alleati e unità, e da uno che non sta dalla parte del designato Musumeci in Sicilia, dal centrodestra, la leggendaria battuta di Totò: “È la somma che fa il totale!”.

Aggiornato il 13 settembre 2017 alle ore 21:17