Regionali siciliane: Di Maio chiama l’Osce

Siamo alla follia. E neanche tanto lucida. Va bene darsele di santa ragione tra candidati in corsa per la poltrona di presidente della Regione siciliana, ma arrivare a chiedere, come fa Luigi Di Maio, l’intervento degli osservatori dell’Osce - l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa - per vigilare sulla regolarità del voto il prossimo 5 novembre in Sicilia è peggio che buttarla in caciara. Ma il giovanotto di belle speranze e di scarsi studi ha valutato la gravità della richiesta? Non siamo in Ucraina. Abbiamo le carte in regola per gestire da noi le elezioni, semplicemente facendo rispettare le norme che disciplinano lo svolgimento delle operazioni di voto. Di Maio non si fa scrupolo di mettere alla berlina l’onorabilità dell’Italia.

Che il vice-presidente della Camera dei deputati abbia informazioni ignote ai media e alle istituzioni preposte alla vigilanza sulla legalità, magistratura compresa? Ha notizia che i seggi saranno presidiati dall’alba del 5 novembre da mafiosi con tanto di coppola e doppietta? E cosa dovrebbero osservare gli agenti dell’Osce? Che la gente nel mentre si reca al seggio non venga intimidita da truci masnadieri? O forse Di Maio è preoccupato per la manipolazione degli atti formali che accompagnano il corretto e libero esercizio del voto? In questo caso, nostro malgrado, dovremmo concordare con lui e associarci all’appello di spedire gli osservatori internazionali. Ma dove? Nella sede siciliana del Movimento Cinque Stelle, ovvio! Visto che, al momento, l’unica forza politica che annovera tra le proprie fila ben 14 rappresentanti tra deputati, consiglieri regionali e attivisti rinviati a giudizio per il caso delle firme false presentate in occasione delle elezioni comunali a Palermo nel 2012 è proprio quella di cui è fresco leader l’onorevole Di Maio.

Il “Giggino” più amato dai grillini, con questa uscita maldestra, vorrebbe convincere l’opinione pubblica siciliana che esiste una correlazione nel votare candidati diversi dal pentastellato Giancarlo Cancelleri con l’essere di fatto contigui al malaffare e alla corruzione. Se fosse per lui, per il Di Maio, tutti quelli che votano per il centrodestra andrebbero d’ufficio rinviati a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. Ecco cosa accade quando si è al cospetto di un politico privo di argomenti sostanziali che non sa andare oltre frusti slogan propagandistici. Per un Cinque Stelle l’idea che un elettore possa preferire altri candidati a quello dei grillini è un’ipotesi che la ragione non contempla. Allora, meglio invocare la gogna per gli avversari prima che sia troppo tardi per i sogni di gloria del “Movimento”. Di Maio si rivolge alla signora Rosy Bindi perché, nella qualità di presidente di una surreale Commissione Antimafia del Parlamento (a proposito, che fine ha fatto l’ennesima indagine-fiasco sugli iscritti alla Massoneria?), faccia presto a pubblicare la sua black list d’”impresentabili” alla competizione siciliana. Chi sarebbero costoro? Candidati sui quali pende una qualche ipotesi di reato. Niente di definitivo, s’intende. Solo il sospetto che possano aver commesso qualcosa d’illecito. Quanto basta per scaricare su di loro una vagonata di fango. Quanto basta per metterli fuori combattimento nel clou della campagna elettorale.

E questo lo chiamano Stato di diritto? Allora sì che bisognerebbe invocare l’intervento dei caschi blu dell’Onu per impedire una gigantesca quanto truffaldina operazione di sputtanamento morale dei concorrenti. “Giggino” non teme di fare strame della Carta costituzionale. Forse che era assente a scuola quando l’insegnante spiegava in classe cosa vuol dire presunzione d’innocenza? Se non si hanno solide nozioni di diritto per un grillino doc, meglio fidarsi del manuale delle giovani marmotte riscritto dalla Casaleggio Associati. Quella del Di Maio sarebbe pura barbarie giuridica se non fosse crassa stupidità intellettuale. Già, perché solo uno sciocco può illudersi di cambiare le carte in tavola della Storia ricorrendo a espedienti di basso bordo. Bada Di Maio che non è gridando al lupo che non c’è che si convincono i pastori a cambiare pascolo.

Aggiornato il 18 ottobre 2017 alle ore 21:28