L’Osce e l’Antimafia in Sicilia

La richiesta di Luigi Di Maio di un intervento dell’Osce per controllare il corretto andamento delle elezioni siciliane è entrata a pieno diritto nel novero delle sciocchezze pronunciate dagli esponenti grillini per avere un titolo sui giornali e una citazione sui telegiornali. Già che ci si trovava il candidato premier del Movimento Cinque stelle avrebbe potuto sollecitare l’invio dei Caschi Blu dell’Onu o delle Guardie Svizzere papaline. Di sicuro avrebbe avuto titoli e citazioni più ampie e la conferma che il suo unico principio è “non importa di come se ne parli, purché se ne parli” .

Non è entrata nel novero delle sciocchezze, invece, l’altra notizia che ha riguardato le elezioni siciliane. Quella della Commissione Antimafia che è sbarcata nell’isola per esercitare un’azione di controllo preventivo delle liste dei candidati all’Assemblea Regionale Siciliana. La vicenda non è catalogabile come una sciocchezza, perché è fin troppo seria. E neppure come una bizzarria per via della circostanza che il vice presidente dell’Antimafia, Claudio Fava, è candidato alla presidenza dell’isola di una delle liste in campo. E anche se ha deciso di astenersi dall’attività di controllo delle liste, il suo ruolo rischia comunque di pesare sull’attività della commissione.

La vicenda è un esempio inquietante della irresistibile tendenza a trasformare una Commissione d’Inchiesta in un Tribunale preventivo dell’Inquisizione. Il problema è tutto nella pretesa dell’Antimafia di esercitare il controllo preventivo. Se intervenisse ad elezioni celebrate denunciando i candidati eletti grazie al sostegno mafioso, la sua attività sarebbe non solo giusta ma addirittura sacrosanta. Sempre che le sue accuse e contestazioni fossero fondate e provate. Ma l’intervento preventivo, fondato non su sentenze ma su sospetti che attivano l’obbligatorietà dell’azione penale ma che possono essere smentiti successivamente sia in fase istruttoria che processuale, diventa un atto assolutamente discrezionale che si presta facilmente all’accusa di faziosità e strumentalità politica.

Non è vero che il sospetto sia l’anticamera della verità, come sosteneva Padre Ennio Pintacuda ripetendo il principio ispiratore dei Tribunali dell’Inquisizione. È vero, semmai, che il sospetto senza prove non combatte la mafia e la corruzione ma offre loro le argomentazioni migliori per difendersi. La repressione ottusa non serve. Perché alla lunga deprime lo Stato di diritto e la giustizia. Cioè favorisce mafia e corruzione!

Aggiornato il 19 ottobre 2017 alle ore 20:47