Una minestra riscaldata per avvelenare Berlusconi

Ci risiamo. Si avvicina la scadenza elettorale e, puntuale come il rosso del semaforo, spunta la notizia della riapertura delle indagini su Silvio Berlusconi in relazione a un suo presunto coinvolgimento nelle stragi mafiose del 1993. Secondo l’accusa ne sarebbe stato il mandante. Lo avrebbe ammesso una canaglia del calibro di Giuseppe Graviano in un’amena conversazione con un compagno di cella.

Per la cronaca, il tentativo di tirare dentro il “Cavaliere” in inchieste particolarmente odiose non è una novità. Nel passato sono state aperte e archiviate due indagini mosse sulle medesime ipotesi di reato. Anche in quelle circostanze vi erano dei pentiti disponibili a purgarsi la coscienza, che però non sono stati creduti dai giudici. Ragion per cui non sarebbe giustificato alcun allarmismo sul recente episodio da “macchina del fango”. Non siamo di questo avviso. Questa volta il siluro lanciato deve preoccupare. Non si tratta di “giustizia a orologeria”. Con tutto il rispetto per pendole e cucù, la giustizia non c’entra nulla. La diffusione mediatica della riapertura delle indagini a carico di Berlusconi costituisce, nell’ambito della lotta politica, un sistema d’arma non convenzionale. Il problema non è il mezzo ma la finalità per la quale quell’arma viene azionata. E da chi.

I sondaggi danno il centrodestra in crescita, con ottime chances di successo alle elezioni regionali siciliane. Negli ambienti dell’establishment europeo si va consolidando l’idea che Berlusconi, e non Renzi, sia la diga all’onda anomala grillina. E il 22 novembre è alle porte. Giorno in cui la Corte europea dei diritti dell’Uomo discuterà il ricorso del Cavaliere contro la disposizione contenuta nella famigerata “Legge Severino” che gli impedirebbe, in quanto condannato con sentenza passata in giudicato, di candidarsi alle prossime elezioni. Sulla pronuncia dell’Alta Corte il barometro di Strasburgo dà tempo bello per quel giorno. Perciò, non bisogna essere dei geni per intuire che in giro ci sia qualcuno che voglia azzoppare il fuoriclasse di nuovo in pista per fare un favore a qualcun altro. Che però non sembrerebbe essere Matteo Renzi, in caduta libera nei consensi e nelle simpatie della gente comune. E neanche il grillino Luigi Di Maio. Nessun potere occulto che si rispetti potrebbe seriamente considerare di sostenere l’ascesa di un ragazzo molto intraprendente ma assolutamente impreparato a svolgere un’alta funzione di governo. E allora chi?

In questi giorni si è molto parlato del beau geste del presidente del Senato. Pietro Grasso ha lasciato con molto clamore mediatico il Partito Democratico, dicendosi indignato per la storia del voto di fiducia sulla legge elettorale. È ovvio che l’ex magistrato qualche idea sul suo futuro politico l’abbia maturata. Ma non è detto che sia alla testa della pattuglia di reduci del socialismo ottocentesco di “Articolo 1-Mdp”. C’è stata troppa fretta da parte dei suoi laudatori nel vederlo collocato in quota Bersani. L’ex procuratore nazionale antimafia è prima di tutto siciliano. Quindi è abituato a fare le cose con calma, a prepararle per bene e a tenerle coperte sotto un bel sorriso sornione. Il medesimo che ha il gatto che si compiace per il sorcio che ha in bocca. Al momento ogni strada che preveda una ricucitura del campo del centrosinistra è ostruita dalla presenza di un divisivo Matteo Renzi. Ma in politica come nella vita nulla è eterno. E le cose tra i “dem” potrebbero cambiare a breve. C’è il voto di domenica prossima che potrebbe seppellire ogni ambizione del “Renzi presidente”. Una sconfitta pesante del Pd in Sicilia restituirebbe fiato a chi, nel partito, coltiva il progetto di rifare “l’Unione” in salsa prodiana da affidare a un leader con un profilo di sinistra ma di buona presa anche sull’elettorato moderato. Chi meglio di un ex magistrato che per cinque anni ha presieduto il Senato della Repubblica potrebbe rispondere all’identikit del campione del centrosinistra nella corsa al governo del Paese? C’è però sul cammino della vittoria quella pietra d’inciampo che risponde al nome di Silvio Berlusconi. E allora ecco pronto l’infame di turno che confida a un’altra canaglia che “lui (Berlusconi, ndr) voleva scendere (in politica, ndr), però in quel periodo c’erano i vecchi, lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa (un filotto di bombe, ndr)”.

Occhio dunque alle prossime mosse del partito occulto dell’aiutino all’uomo della provvidenza a sinistra. Le “confessioni” di Graviano, che non è Sant’Agostino ma un criminale senza scrupoli, sono soltanto l’antipasto di ciò che ancora dovrà essere servito. E c’è da scommettere che si tratterà di pietanze puteolenti.

Aggiornato il 31 ottobre 2017 alle ore 21:39