Bassolino si chiama fuori dal Pd

Un altro “ragazzo di sinistra” lascia il Partito Democratico. Dopo Pietro Grasso è la volta di Antonio Bassolino di dire addio ai vecchi compagni di strada. Lo fa a suo modo, don Antonio. Senza sbattere la porta saluta consegnando ai posteri un testamento politico che è una gragnola di legnate sulla groppa del nuovo corso renziano.

Bassolino non è uno qualunque. In politica da sempre, la sua voce, e il suo potere, ha contato molto negli anni delle “Seconda Repubblica”. Non parliamo di un vecchietto che prende la via dei giardinetti. Al contrario, don Antonio affila le armi per rituffarsi nell’agone quotidiano proprio nel momento in cui la crisi del Pd è al suo zenith. Il tempismo dell’annuncio è significativo. L’addio viene recapitato ai vertici del Nazareno a mezzo intervista concessa al Corriere della Sera. E pubblicata ieri. Non a caso prima e non dopo il voto siciliano. La “volpe di Afragola” ha un fiuto eccezionale per i cambiamenti climatici ed essendo un tipetto fumantino non vuole che la sua uscita possa essere interpretata come la fuga del topo che abbandona la nave prima che questa affondi. Bassolino se ne va perché il Partito Democratico continua a vivere una fuorviante “stagione del girare sempre pagina, del mai voltarsi indietro. Mai ammettere gli errori o correggerli”. Per lui il vulnus sta nell’aver considerato, dopo le elezioni europee del 2014, il contributo dato da Matteo Renzi alla vittoria che si configurò con quel mitico 40 per cento, un “dato politico strutturale”.

Un errore fatale prodromico delle successive sconfitte del Referendum e delle Comunali. Anche per lui, come già per Pietro Grasso, l’aver imposto la fiducia sul “Rosatellum” è parsa una mossa inaccettabile, un danno alla democrazia. Quindi, il non detto ma sottinteso: su questa china il Pd va a sbattere, a cominciare dalla prossima domenica in Sicilia. Ma la domanda che resta sospesa in aria è: si sfascia il Partito o la craniata la prendono soltanto Renzi e i suoi fedelissimi? Il quesito non è peregrino perché è sulla piega che prenderanno gli eventi dopo il 5 novembre che s’innesta la scommessa di Bassolino. Seguendo il filo del ragionamento dietro la pars destruens spunta la pars costruens: “Io penso che quella di Pietro Grasso sia stata una svolta significativa nel segno di una riaggregazione del centrosinistra”. Il pranzo è servito. Se qualcuno si era illuso che l’iniziativa bersaniana di rompere con il più grande partito del centrosinistra fosse un’operazione residuale in chiave nostalgica di un piccolo gruppo d’insoddisfatti, deve rifare i conti. A sinistra del Pd si sta raccogliendo una forza che, per i profili e le storie delle persone coinvolte, darà filo da torcere, anche sul piano elettorale, agli ex amici e compagni rimasti nel ventre renziano. Bassolino non è un isolato.

A distanza di anni dall’uscita dalla roccaforte del governatorato campano che ha guidato per un decennio con pugno di ferro c’è un apparato “dem” fatto di centinaia di rappresentanti sul territorio e negli enti locali che non solo non ha dimenticato il vecchio capo ma che, ansioso, attende un segnale per ricompattarsi in suo nome. Qual è il valore aggiunto che un don Antonio politicamente redivivo potrà portare in dote all’erigendo campo della sinistra? Oltre ai numeri, un compiuto ragionamento politico basato sulla capacità d’incrociare una diagnosi, una prognosi e una terapia per il malato centrosinistra. Che non è propriamente lo spessore della politica smart, compressa nei 140 caratteri del tweet renziano.

Con Bassolino in campo, come ben sanno i suoi avversari del centrodestra, la svolta non è mai semplicemente tattica ma è principalmente antropologica. Si torna al tipo politico che colloca la costruzione del consenso attraverso la forma-partito all’interno di un orizzonte di senso puntellato da scelte ideologicamente molto marcate. Niente a che fare con l’arruffapopolo Vincenzo De Luca che siede sulla poltrona che fu sua grazie a una straordinaria congiuntura di fattori convergenti determinati dalla temperie di una stagione nella quale, anche al Sud, è spirato forte il vento del populismo. Non bisogna essere Nostradamus per prevedere che una sconfitta in Sicilia apra le cateratte del cielo piddino. Le fughe e le prese di distanza degli oggi - ancora - renziani di prima, seconda e terza fila fioccheranno. E allora tutto sarà possibile. Anche un pubblico abbraccio tra il “Líder Máximo” D’Alema e don Antonio “’O governatore”. Amici per un giorno, nemici per sempre.

Aggiornato il 03 novembre 2017 alle ore 21:48