Vincere oggi col 20 per cento, e domani?

Se è vero come è vero, cioè dati alla mano, che Giuliana Di Pillo (M5S) ha vinto a Ostia (230mila abitanti) col 20 per cento degli aventi diritto al voto, forse varrebbe la pena fare qualche (piccolo) ragionamento su questo; che è, al di là di qualsiasi parere, un fatto e non un’opinione. Beh, è persino ovvio che su questa non-opinione i vincitori grillini abbiano gridato al trionfo. Poverini (si fa per dire), sono freschi freschi di elezioni e si capiscono, pur non condividendone neanche una briciola, le lodi per se stessi. Per se stessi senza neppure intravedere che dietro quella impressionante astensione ci sono anche dei loro, forse pochi, ma ci sono. Gli altri indicano un futuro quanto mai cupo - e usiamo un aggettivo non a caso - per le stesse votazioni, locali e nazionali se si volesse aggiungere che se due cittadini su tre non vanno a votare come è capitato a Ostia, è un dato stupefacente, lo è da record dello stupore politico quello raggiunto nelle sezione Tor de Cenci dove ci sono stati soltanto due votanti su circa 988 iscritti.

La stessa trionfante Virginia Raggi dovrebbe ricordare (almeno lei) le sue preferenze del 2016, sessantamila, e i voti della Di Pillo di oggi, 36mila, praticamente la metà, oltre al fatto che Ostia era uno dei feudi grillini per conquistare il Comune di Roma. Sul piano politico perciò, dire che abbiamo un problema è più che comprensibile soprattutto perché un Municipio sciolto per infiltrazioni mafiose con un degrado in alcune zone raccapricciante, con ripetuti episodi tracotanti culminati con la testata al giornalista e l’incendio della sede del Pd, e con una speculazione edilizia trionfante e la pessima qualità dei trasporti e delle strade; ebbene tutto questo non meritava, meglio, non avrebbe meritato da parte dei cittadini una forte, cioè numerosa, scelta di campo? E, per ironia della sorte, c’è stato persino un appello del ministro dell’Interno, Marco Minniti proprio da Ostia: “Auspico una larga partecipazione al voto in modo che sia una risposta molto chiara di isolamento dei criminali e dei violenti”. Alla faccia del bicarbonato! avrebbe ironizzato il grande Totò.

Lasciando perdere la comunque strana convergenza Mdp e CasaPound sulla candidata del Movimento 5 Stelle, forse per via che gli estremi non solo si toccano ma votano la stessa cosa/persona, resta un dubbio, o quasi una certezza riguardante un Pd che ha fatto registrare una clamorosa assenza dal ballottaggio dopo la sconfitta non meno impressionante dello scorso anno a Roma, e oggi a Ostia, dove aveva il 42 per cento dei voti, e che è crollato al 13,6 per cento senza peraltro dare delle indicazioni di voto. Anche qui valga l’esclamazione del Principe De Curtis.

Ma, al di là di tutto questo, varrebbe la pena non solo rilevare che persino un movimento meno organizzato come quello pentastellato ha bucato, ma che la tendenza all’astensione è più viva che mai e che il futuro potrebbe riservare sorprese un po’ a tutti, dalla destra alla sinistra per comprendere che c’è una malattia di fondo nel Paese, peraltro non di facile soluzione. Intravederla nelle mancanze di chi governa è del tutto naturale, ma è altrettanto chiaro che Ostia viene dopo Roma, dopo Parma, dopo Torino, dopo Livorno e dopo le Regionali in Sicilia, dove si è registrata quella che i politologi chiamano la malattia del non-voto, intesa come una chiara protesta nei confronti dei partiti normali. Ma a questo successo non tanto del M5S ma degli astenuti, cioè di tutti coloro (e sono tanti) che ritengono non valga la pena la fatica dell’esprimere il proprio parere sulla cosa pubblica, si aggiunga un fatto (un altro) di non poca rilevanza, valida per destra e sinistra, e di più.

La diffidenza nei confronti dei partiti ha bensì tenuto lontani i più, ma quelli che si sono recati ai seggi sono confluiti in nome della sconfitta dell’avversario peggiore a vantaggio di quello considerato meno lontano. E i programmi? I progetti? Boh!

Aggiornato il 22 novembre 2017 alle ore 13:17