Sì: Radicali di ieri, oggi e domani

mercoledì 22 novembre 2017


Questione mal posta, comunque fuorviante, chiedersi se i Radicali stiano o no tornando in auge. Non solo: di per sé perfino irrilevante. Cosa volete che possa interessare il conflitto, il guardarsi in cagnesco, di una Emma Bonino o di una Rita Bernardini, di un Marco Cappato o di un Maurizio Turco, perfino di un Riccardo Magi o di un Valter Vecellio che – troppo onore e onere – viene associato agli “esponenti di spicco” del Partito Radicale che fu (ma è ancora) di Marco Pannella? No, questo non interessa, ed è giusto che non interessi, lasci indifferente. La carne del problema è che non sono in auge (ma non lo erano neppure quando Pannella era vivo), e chissà quando (e se) lo saranno mai le questioni che il Pr agita e anima.

Le questioni che non emergono (e che anzi si ha ben cura di occultare, negare) sono, a volerle ridurre a “telegrammi”, due: il diritto umano e civile alla conoscenza, da incardinare formalmente innanzitutto in sede di Nazioni Unite (con modalità che ricalchino, grosso modo quelle seguite per la moratoria delle esecuzioni capitali); e la questione della Giustizia: il diritto al diritto, con tutte le sue declinazioni, e la più urgente è quella carceraria. Un fronte che vede da sempre punte di lancia tre radicali: Rita Bernardini, Deborah Cianfanelli e Irene Testa, spesso protagoniste di lunghi e faticosi scioperi della fame di proposta (non di protesta). Sono questi i due pilastri dell’azione politica del Partito Radicale, di quanti intendono portare avanti il lascito e il patrimonio politico, culturale e ideale di Pannella: “l’eredità”.

Altri, ad altro, si mostrano interessati, disponibili, sensibili. Saranno questioni di interesse, di significato, di valore (nessuno si sogna di negarlo); ma sono, appunto, “altro”. Neppure scandalizza siano oggetto e “merce” di scambio, di contrattazione, di trattativa. Ma di questo, appunto, si tratta. Basta chiamare le cose con il loro nome. Così, nulla quaestio sul “fare” di un sottosegretario di Governo che indifferentemente indossa questa o quell’altra casacca (se ne possono contare almeno sei, roba da far impallidire il tanto sbertucciato Antonio Razzi); nulla quaestio sul fatto che per quel che riguarda la nuova legge elettorale l’unica cosa che si sente di eccepire è la difficoltà nel dover raccogliere le firme; nulla quaestio sul fatto che per quel che riguarda i temi della Giustizia ci si limita a un laconico: “Per ora siamo lontani da Renzi”; nulla quaestio sul fatto che il tanto apprezzato progetto “Accogliamoli” a ben esaminarlo è cosa astratta, fondamenta d’argilla, proposta vaga, fumosa (e per questo tanto ben accetta?). Nulla questio, su tutto ciò. Fa parte di regole di un gioco che non piace, ma che c’è. Si può giocare a poker anche a un tavolo di bari, a patto di esserne consapevoli, e non fingere che si tratti di una partita di whist al “Reform club” di Londra. Ernesto Rossi in un suo celebre scritto dice che si può mangiare la minestra anche in compagnia del diavolo, purché si sia dotati di cucchiaio dal lungo manico. In questo caso, mancano manico e cucchiaio insieme...

Doveroso, provare di allargare l’orizzonte del mondo in cui tocca vivere, e pre/occuparsene. È trascorso un anno dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti; ancora non si sa trovare una spiegazione convincente di come quel grande Paese abbia eletto come suo commander in chief un personaggio come Donald Trump. Più vicini a noi: sconcerta che nel Regno Unito sia accaduto un qualcosa che si chiama “Brexit”; e non solo per le negative conseguenze che ci saranno, inevitabilmente, per gli inglesi. Sconcerta quello che accade in Catalogna, con questa assurda richiesta di separazione. Ma ancor più sconcerta che non sia stata organizzata una grande mobilitazione (in Spagna o altrove) non per l’indipendenza, ma per maggiore “unione”; sconcerta che la granitica Germania, il cui sistema elettorale veniva indicato come modello da perseguire, non riesca a formare un governo; sconcertano i rigurgiti demagogici e razzisti crescenti nelle giovani democrazie dell’Est europeo; e anche per quel che riguarda l’Italia c’è di che riflettere; è sconcertante come quasi tutta la classe politica in carica continui tranquillamente a danzare sull’orlo del precipizio senza avvedersi del pericolo che incombe: ogni consultazione registra progressivi aumenti di quote di elettori che rifiutano in blocco chiunque si candidi. Le fasce di astensionismo “attivo” e consapevole sono in costante crescita: domenica scorsa a Ostia, giorni fa in Sicilia e i segnali si possono cogliere da molto prima: in occasione delle elezioni regionali in Emilia Romagna, regione dove il voto e le sue “ragioni” da sempre sono molto sentite, è stato massiccia la quota di elettorato che ha disertato le urne. Elettorato di sinistra, figlio del Partito Comunista e delle progressive trasformazioni di quel partito. Perfino un homo totus politicus da sempre come il vecchio dirigente socialista Rino Formica, fuori dai giochi ma attentissimo osservatore di quel che passa nel convento, dice che ormai l’unica possibilità di salvezza che resta è quella di non votare, rifiutare di vergare un qualsivoglia segno nella scheda elettorale. Non c’è dubbio che il voto sia un diritto (e non un dovere); e dunque questo diritto si è liberi di esercitarlo o di astenersi dal farlo. Ma se tanti decidono che di quel diritto si può fare a meno, chi ha l’ambizione di governare gli eventi, le situazioni, un Paese, dovrebbe prestare attenzione ai brontolii e ai “frastuoni” la cui eco è sempre più sinistramente assordante.

Ecco, ci si avvicina al tema. Non si tratta di salvare questa Europa; si tratta di difendere, valorizzare, ampliare l’idea e gli ideali prefigurati nel Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Rossi ed Eugenio Colorni, gli Stati Uniti d’Europa”. Non è “il solito mantra”, come qualcuno oggi sostiene. Si tratta di non cedere a visioni miopi e di mera opportunistica sopravvivenza. Si tratta anzi di rilanciare: il Manifesto di Ventotene propugna ideali di unificazione in senso federale, fondati sui concetti di pace e di libertà kantiana, e sulle teorie istituzionali dei federalisti americane. Lo pensano e concepiscono dei “matti” nei giorni in cui l’Europa è sotto il tallone del nazi-fascismo, e il mondo è in fiamme. Un “sogno”, una “utopia”. L’unica cosa concreta e realistica che abbiamo. Non è privo di significato che in quegli anni, in parallelo, c’è chi comincia a sviluppare un’altra “follia”: Un Disegno preliminare di costituzione mondiale; animatore è quel Giuseppe Antonio Borgese, grande critico, uno dei “tredici” che non giura fedeltà al regime e per questo viene cacciato dall’università; l’autore di Golia, la marcia del fascismo, testo ancora oggi importante per capire, per “sapere” cos’è il fascismo, e come ha potuto essere. Una Costituzione che si avvale della “presentazione” di Piero Calamandrei, e una premessa di Thomas Mann e l’apporto di decine di giuristi della scuola di Chicago. Un testo, oggi, pressoché dimenticato, e da cui si potrebbe ripartire.

Sia consentito: se è questo che urge e che preme; se è su questo che si ritrovano oggi decine, centinaia di persone di ogni nazionalità e credo politico, religioso, ideale; se attorno all’esile insegna del Partito Radicale si ri/trovano non solo italiani, ma europei, africani, asiatici, americani... Se è questa la posta, la partita in gioco, ma davvero (dico davvero) perdere tempo a questionare se ci si debba ridurre a chiedere che si aggiunga un posto a tavola, uno strapuntino per fare ed essere alibi e stampelle di logiche e “visioni” con cui non si ha nulla a che fare, diventa cosa meschina e rivelatrice di un’aridità mentale avvilente. “Globalizzazione di diritti e di valori”, si auspica. È esattamente quello per cui si lavora e si opera. Per ora, possiamo dire come nell’Enrico V di Shakespeare, We few, we happy few, we band of brothers. Ovvio che si sarebbe assai più felici se si fosse di più. Ma questo dipende da chi non vuole far parte della “banda”, e ne cerca – non so se e con quale soddisfazione – delle altre. Conforta, tuttavia, che i vuoti lasciati dai tanti che veleggiano per “altrove” siano in queste ore colmati da “brothers” approdati dai più lontani, sorprendenti lidi. Conforta, e aiuta a proseguire in quel cammino da tempo intrapreso, per continuare a essere quel che si fu, per continuare a essere quello che siamo.


di Valter Vecellio